Farmaci, approvato il collirio della Montalcini

occhio
(Foto via Pixabay)

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ne ha da poco concesso il nulla ostacenegermin, il collirio Montalcini per curare la cheratite neurotrofica moderata e grave, malattia degenerativa dell’occhio che può condurre a cecità, è ora commercializzato in regime di rimborsabilità nel nostro Paese.

Che cos’è cenegermin

È un collirio, gocce oculari a base della proteina chiamata Nerve growth factor da somministrare a pazienti affetti da patologie che compromettono l’integrità funzionale e anatomica dell’occhio, che possono evolvere verso la cecità. Le indicazioni parlano in particolare della cheratite neurotrofica moderata o grave, dovuta a un danno del nervo trigemino a seguito del quale la cornea perde di sensibilità. Una malattia orfana – cioè priva di trattamenti efficaci, almeno fino a non molto tempo fa, perché cenegermin è in grado di stimolare la rigenerazione dei tessuti oculari, di ridare la vista.

La nascita di cenegermin

Cenegermin – il principio attivo del farmaco Oxervate, targato Dompè – è il frutto degli studi di Rita Levi Montalcini, la scienziata italiana che nel 1986 vinse il premio Nobel per la medicina proprio per la scoperta del Nerve growth factor (Ngf). Fu la stessa Levi Montalcini a intuire le potenzialità di quella molecola e a constatare alla fine degli anni ’90 l’efficacia dell’Ngf in una piccola paziente con la vista compromessa da un danno alla cornea.

Un successo italiano

Da allora la ricerca sull’Ngf è rimasta ben radicata in Italia: dalle prime evidenze si è passati alla sperimentazione sugli esseri umani utilizzando Ngf di origine murina.

Sempre efficace, certo, ma non adatto ad applicazioni su larga scala. Il lavoro di diversi laboratori di ricerca (dal Campus biomedico di Roma al San Raffaele di Milano) è poi confluito nell’azienda di ricerca Anabasis, incorporata infine in Dompè.

È il gruppo italiano a mettere a punto il processo produttivo biotecnologico di cenegermin nel Polo di ricerca e produzione dell’Aquila. La tecnica è quella del dna ricombinante: il gene che codifica per l’Ngf umano viene inserito all’interno di batteri, che diventano in sostanza delle microscopiche fabbriche di produzione di questa proteina pronta per essere incorporata nel farmaco.

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