Come impariamo a camminare

I bambini appena nati imparano a camminare proprio come i cuccioli di ratto. O, meglio, i circuiti nervosi che controllano la locomozione sono esattamente gli stessi, anche se si tratta di specie distanti milioni di anni, evolutivamente parlando. La scoperta è italiana ed è stata fatta nei laboratori della Fondazione Santa Lucia e dell’Università Tor Vergata di Roma. 

Lo studio, coordinato da Nadia Dominici e pubblicato su Science, analizza lo sviluppo della locomozione umana comparandolo con quello di altri mammiferi e uccelli. Il movimento, dicono i ricercatori, è una questione di cervello: tutto dipende dagli impulsi elettrici che i neuroni inviano ai muscoli. Registrando questi segnali elettrici, quindi, è possibile ricostruire i circuiti nervosi che controllano il movimento degli arti. 

Dominici ha applicato degli elettrodi sul corpo di neonati, di bambini in età prescolare e di adulti, con lo scopo di registrare l’attività elettrica generata da 24 diversi muscoli scheletrici. I bambini appena nati, naturalmente, non camminano. Tuttavia, tenendoli in posizione eretta e spostandoli lungo una superficie cominciano a sollevare le gambe come per compiere dei passi, mostrando il cosiddetto riflesso del camminare. 

Analizzando l’attività elettrica registrata, i ricercatori hanno scoperto che, nei neonati, il riflesso del movimento è controllato da neuroni del midollo spinale; questi si attivano in due fasi: la prima comanda ai muscoli delle gambe di piegarsi ed estendersi, la seconda di alternare il movimento tra la gamba sinistra e quella destra. Man mano che il bambino cresce, però, questo processo diventa più complesso, coinvolgendo altri tipi di neuroni: sovra-midollari, intra-midollari e sensoriali. Nei bimbi in età prescolare, infatti, alle fasi neonatali se ne aggiungono altre due che servono ad affinare il movimento, come quella che comanda di sollevare i talloni dal suolo prima che la gamba inizi a piegarsi. Le quattro fasi, poi, si aggiustano ulteriormente durante la crescita, sino ad arrivare alla perfezione della locomozione adulta. 

Questi risultati mostrano che lo sviluppo è un processo conservativo. Fino ad ora si pensava che negli adulti i circuiti nervosi alla base del movimento si formassero da zero, e fossero completamente differenti da quelli attivi nei bambini; adesso si è capito che durante la crescita non si butta via nulla: la rete di segnali elettrici che dai neuroni arriva ai muscoli non è altro che una versione modificata di quella neonatale. 

E quello che vale per lo sviluppo sembra valere anche per l’evoluzione. Per avere una panoramica più ampia dei meccanismi della locomozione nel regno animale, i ricercatori hanno analizzato l’attività elettrica registrata da gatti, ratti, macachi reso e galline della Guinea (l’unica altra specie bipede considerata, a parte l’essere umano). Ne è emerso che le due fasi di attività dei circuiti elettrici dei ratti appena nati sono identiche a quelle dei neonati umani.

Arrivati all’età adulta, tuttavia, le quattro fasi d’azione cominciano a differire, nei ratti come nelle atre specie animali. La spiegazione, probabilmente, è che negli uomini la rimodulazione dei circuiti nervosi deve fare i conti con un problema che i quadrupedi (e i bipedi come gli uccelli) non hanno: affinare il movimento delle braccia per raggiungere e afferrare gli oggetti. 

Nonostante questa differenza, i ricercatori sono rimasti molto sorpresi nello scoprire quanto simili siano i processi nervosi che controllano la locomozione animale. Stiamo parlando di specie lontane milioni e milioni di anni, che hanno ereditato la coordinazione dell’attività muscolare da circuiti nervosi primitivi appartenenti a un vecchissimo, comune antenato. E anche se ogni specie ha imparato a camminare con “le proprie gambe”, in modo diverso a seconda di costrizioni genetiche e morfologiche, è pur vero che tutti partono da una base comune: i vecchi elementi non sono eliminati in favore di un disegno totalmente nuovo, ma si adattano a fronteggiare nuovi problemi in modo più che efficiente. 

Riferimento: Science DOI: 10.1126/science.1210617

Via Wired.it

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