Barbara Curli
Il Progetto Nucleare Italiano (1952-1964).
Conversazioni con Felice Ippolito
Rubbettino, 2000
pp.296, £ 30.000
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“Facevo funzionare la scienza” (p.222) osserva in questo libro l’ingegnere Felice Ippolito, segretario del Comitato nazionale ricerche nucleari (Cnrn) dal 1952 e poi segretario generale del Comitato nazionale energia nucleare (Cnen) dal 1960 al 1963, tra i maggiori artefici dello sviluppo dell’energia nucleare in Italia. La sua affermazione merita di essere spiegata. L’Italia è sempre stato un paese poco incline allo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica (attualmente il rapporto tra spesa per la ricerca e il Pil è tra i più bassi in Europa). Inoltre, la programmazione economica delle risorse energetiche non è stata mai nell’agenda della classe politica, come polemicamente i partiti democristiano e comunista sottolineavano negli anni Sessanta, lamentando la formazione ‘classica’ piuttosto che ‘scientifica’ di molti di loro. Ippolito dovette dunque scontrarsi con tale classe sia per lo sviluppo della ricerca scientifica che per la pianificazione energetica. E inoltre impose il suo dirigismo per poter realizzare il progetto nucleare italiano, che di tale ricerca e pianificazione faceva parte, a costo talvolta di scavalcare le istanze democratiche del nostro Paese (dichiara sempre Ippolito: ‘Se lo Stato era quello ed era inefficiente, non si poteva fare altro che aggirarlo, evitarlo’, p.219).
La questione centrale della storia del progetto nucleare italiano è proprio questa. Nella prima parte, l’autrice ricostruisce il percorso storico che conduce a tale progetto nel contesto della ricostruzione nel dopoguerra, della nazionalizzazione dell’energia elettrica, della dipendenza politica e militare dagli Stati Uniti e della costruzione dell’Europa unita. Nella seconda, Ippolito fornisce le sue personali memorie. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l’energia nucleare risultò la soluzione ottimale alla crescente domanda energetica, in quanto poteva svincolare l’Italia dalla dipendenza dal petrolio. Nello sviluppo dell’uso pacifico del nucleare, Ippolito si scontrò con un apparato burocratico incapace di gestire anche a livello legislativo le nuove politiche nucleari (inquietante il dato che il Cnen ha operato a lungo senza alcuna personalità giuridica) e con un sistema di imprese private (specialmente l’Edison) capace di utilizzare il lassismo delle classi dirigenti per favorire il monopolio dei privati nella fornitura di energia elettrica. Nello scontro, la stessa carriera di Ippolito fu messa in discussione. Nel 1963, la magistratura accusa Ippolito di aver gestito i fondi Cnen in modo troppo facile. Successivamente Ippolito viene destituito dall’allora Ministro dell’Industria Giuseppe Togni e viene condannato in sede di giudizio. L’episodio, più che la ‘cattiva gestione’ di Ippolito, dimostrò l’esistenza di uno scontro in atto tra questi e i politici pronti a schierarsi per ragioni di partito.
La politica nucleare di Ippolito riflette in fondo l’enfasi di una generazione che non solo fa del nucleare una possibile scelta energetica, ma l’unica vera e propria prospettiva di modernizzazione scientifica e tecnologica. Si fa largo l’idea che non esiste una sola tecnologia nucleare, ma due: una cattiva e destinata a far bombe e una buona che permette quantità illimitate di energia ‘pulita’. Per la generazione di Ippolito il nucleare è fonte energetica, sorgente di radiazioni per modificazioni genetiche, strumento di propulsione navale o di trasformazione geologica (attraverso le Controlled Nuclear Explosions, Cne), mentre l’immaginario tecnologico del nucleare supera le barriere ideologiche e pervade i contesti scientifici degli Usa e dell’Urss (al nucleare yankee si contrappone il nucleare successo della scienza proletaria). L’Italia rimane in questa prospettiva di modernizzazione fino agli anni Ottanta, quando il referendum sul nucleare, sull’onda del disastro della centrale nucleare di Chernobyl (il più eclatante di una serie di incidenti nelle centrali nucleari di tutto il mondo), impone la riconversione delle centrali nucleari e sceglie di non fare più ricorso al nucleare come fonte energetica. Una nuova generazione, che esce dalla guerra fredda, comincia a domandarsi se effettivamente la strada della modernizzazione passi necessariamente attraverso le tecnologie nucleari, con i loro rischi per la sicurezza di persone e ambiente.