Coronavirus: rischio di nuove varianti dai ratti di New York positivi al virus

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(Foto: Michelle Gordon su Unsplash)

I ratti sono suscettibili alle infezioni da coronavirus, e possono perciò ammalarsi di Covid-19. Dati, quindi, che preoccupano visto che le interazioni tra i roditori e gli esseri umani possono essere molteplici e che questi animali potrebbero rappresentare un nuovo veicolo della malattia, ma anche aumentare il rischio di insorgenza di nuove varianti. A suggerirlo è uno nuovo studio coordinato dall’Università del Missouri e pubblicato su mBio, rivista dell’American Society for Microbiology, da cui è emerso appunto che i ratti rientrano tra quegli animali, come già dimostrato per gatti, cani, visoni, che possono contrarre il coronavirus e, in particolare, essere sensibili ad alcune varianti, ossia Alfa, Delta e Omicron.

Sappiamo che i ratti si sono adattati molto bene ai ritmi cittadini. Basta pensare che solamente a New York si contano circa 8 milioni di ratti. Sebbene le interazioni con noi esseri umani possano essere molteplici, va sottolineato che il contagio del coronavirus da questi animali non è ancora mai stato dimostrato. Come ricordano gli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), infatti, le segnalazioni di diffusione del virus da qualsiasi tipo di animale a noi rimangono ancora oggi rare: “non ci sono prove che gli animali svolgano un ruolo significativo nella diffusione del virus alle persone”, affermano dall’agenzia.

Cosa dice il nuovo studio

Tuttavia, i ricercatori sottolineano come gli animali possano svolgere un ruolo importante nelle epidemie e aumentare il rischio dell’emergere di nuove varianti. “I nostri risultati evidenziano la necessità di un ulteriore monitoraggio del coronavirus nelle popolazioni di ratti per la potenziale trasmissione zoonotica secondaria all’uomo”, ha raccontato l’autore dello studio Henry Wan, direttore del Center for Influenza and Emerging Infectious Disease presso l’Università del Missouri. “Nel complesso, il nostro lavoro mostra che gli animali possono svolgere un ruolo nelle pandemie che hanno un impatto sugli esseri umani, ed è importante che continuiamo a migliorare la nostra conoscenza in modo da poter proteggere sia la salute umana che quella animale”.

Ricordiamo che in precedenza già due ricerche, una svolta in Asia (Hong Kong) e l’altra in Europa (Belgio), avevano mostrato come i ratti fossero suscettibili al coronavirus, senza però riuscire a determinare a quale variante fossero stati esposti. Nel nuovo studio, invece, i ricercatori hanno per prima cosa provato a capire le modalità di trasmissione del virus nelle popolazioni di ratti delle aree urbane degli Stati Uniti, e in particolare a New York, e, poi, quale delle varianti avesse causato le infezioni in questi animali. Per farlo, i ricercatori hanno catturato nell’autunno del 2021 79 ratti (Rattus norvegicus) di tre parchi di Brooklyn, e, sottoponendoli ad analisi genetiche, hanno scoperto che i ratti erano effettivamente stati esposti al coronavirus, mostrando anticorpi IgG o IgM.

Nello specifico, 13 ratti su 79 (16,5%) sono risultati positivi al ceppo dominante nella città di New York all’inizio della pandemia. Successivamente, i ricercatori hanno svolto altri esperimenti in laboratorio e dimostrato che anche le varianti Alfa, Delta e Omicron possono causare infezioni in questi animali. La suscettibilità all’infezione, tuttavia, variava in base al tipo di variante.“Per quanto ne sappiamo, questo è uno dei primi studi a dimostrare che le varianti Sars-Cov-2 possono causare infezioni nelle popolazioni di ratti selvatici in una delle principali aree urbane degli Stati Uniti”, ha precisato Wan. “I nostri risultati evidenziano la necessità di un ulteriore monitoraggio del Sars-Cov-2 nelle popolazioni di ratti per determinare se il virus circola negli animali e si sta evolvendo in nuovi ceppi che potrebbero rappresentare un rischio per l’uomo”.

Via: Wired.it

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Credits immagine: Michelle Gordon su Unsplash