Tutti gli animali parlano, anche gli elefanti. Anche se spesso non li sentiamo. E questo è dovuto al fatto che producono suoni talvolta impercettibili all’orecchio umano con i quali comunicano a distanze anche molto grandi. Ma come vengono prodotti questi barriti? In uno studio pubblicato su Science, i ricercatori del Dipartimento di biologia cognitiva dell’Università di Vienna hanno dimostrato che il brontolio degli elefanti è prodotto dall’aria che fa vibrare le corde vocali, proprio come succede a noi quando parliamo.
È noto già da tempo che gli elefanti emettono infrasuoni, ossia suoni a bassa frequenza al di sotto della soglia di udibilità dell’uomo. Ciò che finora non era chiaro era come siano prodotti questi suoni. Per risolvere il mistero, i ricercatori austriaci si sono serviti della laringe ottenuta da un esemplare di elefante africano morto naturalmente nello zoo di Berlino. Utilizzando una tecnica di videoregistrazione ad alta velocità, hanno riprodotto in laboratorio le emissioni vocali emesse dagli animali e ne hanno misurato la frequenza.
“I mammiferi producono suoni facendo vibrare le corde vocali situate nella laringe”, spiega Tecumseh Fitch, responsabile dello studio. Ci sono due modi per ottenere questo effetto. Uno è tramite la contrazione attiva dei muscoli laringei (Amc, active muscular contraction) come nel caso dei gatti quando fanno le fusa. L’altro, chiamato meccanismo Mead (myoelastic aerodynamic mode), è quello usato dagli esseri umani quando parlano e cantano, in cui la vibrazione delle corde vocali è causata dal passaggio dell’aria proveniente dai polmoni.
“Nei nostri esperimenti”, continua Fitch, “abbiamo utilizzato solo la laringe dell’elefante separata dal resto del corpo, per cui non era possibile indurre la contrazione dei muscoli laringei tramite uno stimolo nervoso proveniente dal cervello, come avviene nell’Amc. Pertanto, il fatto che siamo stati in grado di riprodurre il barrito dell’elefante dimostra che è l’aria che passa attraverso le corde vocali che le fa vibrare producendo gli infrasuoni”. A conferma di questi risultati, la frequenza dei suoni sperimentali così prodotti era in accordo sia con i valori riportati da altri ricercatori che con quelli misurati in natura e variava tra 5 e 60 Hz, con una media di circa 16.4 Hz.
L’uso del Mead per produrre i suoni è un meccanismo molto flessibile ed è ampiamente usato dai mammiferi proprio per l’ampio intervallo di frequenze che possono essere ottenute. Per esempio, i pipistrelli possono emettere suoni molto acuti che raggiungono una frequenza di circa 110.000 Hz. Dall’altro lato dello spettro, le tigri producono emissioni a bassa frequenza compresa tra 40 e 100 Hz. Infine la voce umana ha un ampio intervallo che varia tra i 200 e 3000 Hz. Gli elefanti rappresentano un ulteriore esempio della versatilità di questo meccanismo.
via wired.it
Credit immagine a Angela S. Stoeger/Science
Un viaggio attorno alla porzione di spazio-tempo più buia e misteriosa che conosciamo, fino ad…
Un gruppo di fisici dell’Università di Trieste (e di altri istituti) ha proposto una sorta…
Il colosso farmaceutico Johnson & Johnson pagherà 6,5 miliardi di dollari per chiudere le cause…
Si tratta di una patologia rara e difficile da trattare. Colpisce prevalentemente gli uomini e…
Secondo gli autori di un recente studio potrebbe contenere informazioni sul sesso e sul concepimento,…
Dopo il segnale incomprensibile, gli scienziati hanno riparato il danno a uno dei computer di…
Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.
Leggi di più