Covid, dobbiamo aspettarci una “seconda ondata” di contagi anche in Italia?

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Il luglio appena terminato è stato un mese particolarmente impietoso, in termini di pandemia. Si è toccata quota 18 milioni di contagi in tutto il mondo, per un totale di quasi 700mila decessi. Il virus ha colpito particolarmente duro negli Stati Uniti e in Brasile, e negli ultimi giorni i casi sono tornati a salire anche in paesi europei in cui la situazione sembrava essere sotto controllo: secondo le stime diffuse dagli Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Cotnrol), al 30 luglio in Europa sono stati segnalati complessivamente oltre 1 milione e 700mila contagi. A destare particolare preoccupazione sono soprattutto la Francia, la Spagna, la Germania, il Regno Unito e i paesi balcanici. Tanto per citare qualche altro numero, sia in Spagna che in Francia, dopo un periodo di relativa tranquillità, si sono tornati a registrare più di mille casi di contagi giornalieri. E non è chiaro se tutti i focolai dei due paesi sono stati correttamente isolati. Di contro, in Italia le cose sembrano andare un po’ meglio: al momento non si osserva la temuta impennata dei contagi, che oscillano nell’ordine di grandezza delle centinaia per giorno. Viene spontaneo chiedersi, allora, quale sia il motivo di questa relativa quiete, e soprattutto se e quando c’è il rischio che i numeri tornino a salire.

Come per tanti altri aspetti di questa dolorosa pandemia, anche in questo caso la scienza può offrire solo ipotesi, o risposte parziali, che andranno poi retrospettivamente confermate o smentite dai dati. Per, l’appunto, partiamo dai dati: al momento, stando ai risultati dell’indagine di sieroprevalenza dell’Istat e del Ministero della salute,in Italia circa un milione e mezzo di persone sono entrate in contatto con il coronavirus; in altre parole, circa il 2,5% della popolazione – con grandi differenze regionali, in particolare per quanto riguarda la Lombardia – è risultata positiva al test degli anticorpi. Sebbene i dati siano ancora provvisori (il campione analizzato è di circa 64mila persone, molto meno della metà di quanto inizialmente previsto), si tratta comunque di cifre molto più alte rispetto al totale dei casi accertati durante la pandemia. Questo il quadro, stando alle conoscenze attuali. E ora possiamo tornare alla domanda iniziale: assodato che in Italia la prima ondata di Covid-19 “altro non è stata che una breve passeggiata del virus in una porzione limitatissima di popolazione”, cosa sta succedendo adesso? Perché il coronavirus sta tornando a passeggiare altrove, se non addirittura a correre, e non quaggiù?

Abbiamo girato la domanda all’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, che già aveva commentato la questione sulla sua pagina Facebook, che ci ha spiegato come una possibile risposta sia legata alla diversa tempistica dell’arrivo della pandemia in Italia e nel resto d’Europa (e del mondo). “Sappiamo che il coronavirus si è manifestato prima in Cina”, ha detto l’epidemiologo, “e poi in Italia, per arrivare quindi in Spagna, Francia, Regno Unito e via via nel resto del mondo. Siamo stati tra le prime nazioni a introdurre un regime di lockdown molto rigido, proprio perché siamo stati tra le prime nazioni a essere colpite dalla pandemia. Dopodiché ci hanno seguito tutte le altre. Il lockdown, insomma, è iniziato in momenti diversi, ma è stato sollevato più o meno contemporaneamente ovunque. Una spiegazione – sottolineando ancora che siamo nel campo delle ipotesi – potrebbe dipendere dal fatto che quando un po’ in tutta Europa è stato allentato il lockdown, le epidemie nazionali si trovavano a livelli diversi di ‘maturazione’. In Italia il virus è arrivato prima e, a giugno, l’incendio era stato spento con maggiore efficacia da noi rispetto ad altri paesi dove era arrivato con qualche settimana di ritardo. In quei paesi c’erano molto probabilmente ancora tanti portatori in giro quando si è riaperto tutto”.

Si tratta effettivamente di un’ipotesi molto plausibile; ma attenzione ad abbassare la guardia, perché, prosegue Lopalco, “le dinamiche osservate in Francia, dunque, con qualche settimana di ritardo, potrebbero riprodursi anche da noi. Uso il condizionale perché in queste fasi i modelli matematici hanno scarsa attendibilità. Il decorso della curva epidemica, infatti, dipende fortemente dal numero di focolai che si accendono e dalla capacità locale di spegnerli. Vedremo lo stesso aumento? Possibile. La probabilità sarà legata alla capacità di risposta della sanità pubblica e alla ripresa, da parte dei cittadini, di quel minimo rispetto delle regole che si è completamente abbandonato”.

Dello stesso parere è anche Enrico Bucci, della Sbarro Health Research Organization alla Temple University di Philadelphia: “Il lockdown rigido e prolungato ci ha permesso di contenere bene l’epidemia e riportare sotto controllo l’indice di trasmissione in tutta Italia. Il fatto che per ora i contagi non risalgono dipende da questo e dal fatto che, al momento, i focolai avvengono in regioni con misure di controllo e contenimento abbastanza rigide, e dove le norme di prevenzione, in media, sono più applicate”. A giocare un ruolo, secondo Bucci, è anche l’arrivo della stagione estiva, non per l’aumento della temperatura ma per il fatto che tendiamo a stare molto più tempo all’aperto, dove la trasmissione è più difficile (in altre nazioni, invece, si sta al chiuso anche in estate, almeno più che in Italia). E poi, banalmente, il fattore fortuna. O, con una definizione più altisonante, il fatto che “siamo davanti a eventi stocastici, dominati dalla probabilità, dalle contingenze e dalle circostanze”; dello stesso parere è anche Fabrizio Pregliasco, che rimarca come l’oscillazione dei contagi sia anche legata a “focolai che si accendono e si spengono a macchia di leopardo, legati a contingenze e circostanze particolarmente sfavorevoli o favorevoli”.

Un’altra considerazione: stiamo parlando del numero dei contagi osservati, che non necessariamente coincide con il numero di contagi reali e che è legato al numero di tamponi eseguiti.

E a questo proposito c’è da dire che, almeno nell’ultima settimana, in Italia sono stati eseguiti 0,45 test ogni mille persone, meno che in Francia (1,12 per mille persone), Germania (0,96 per mille persone), Regno Unito (1,92 per mille persone) e Spagna (0,93 per mille persone). Prima di rilassarsi troppo, bisogna tener conto anche di questo.

Via: Wired.it

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