Gianna Milano, Mario Riccio
Storia di una morte opportuna – Il diario del medico che ha fatto la volontà di Welby
Sironi Editore 2008, pp. 256, euro 18,00
Un folle idealista. Così si definisce, nel diario di quei giorni, Mario Riccio, anestesista di Cremona che ha aiutato Piergiorgio Welby a vincere la sua lunga battaglia. Supportato dalle note della giornalista Gianna Milano, “Storia di una morte opportuna” racconta uno dei tanti punti di vista nella vicenda, quello di un medico di provincia che decide di seguire le proprie idee e si trova catapultato nel mondo della politica e dei media.
Il “caso Welby” si impone nel dibattito pubblico il 22 settembre 2006, quando il sessantunenne malato di distrofia muscolare lancia un video appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il suo desiderio, espresso chiaramente e lucidamente dal letto in cui è bloccato dalla malattia, è di essere lasciato morire. Una volontà che scuote le coscienze e mobilita la società su temi come la sospensione dei trattamenti, il testamento biologico, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Il racconto di Riccio prende inizio proprio in quei giorni, quando ascolta, in spiaggia, l’appello di Welby. Con una prosa distesa siamo accompagnati nella vita quotidiana del medico cremonese, progressivamente coinvolto nella vicenda.
Cautela, segreto, fuga. Questi gli elementi che caratterizzano i giorni precedenti alla morte di Welby, i cui preparativi devono essere nascosti al mondo. Il viaggio di Riccio a Roma, l’incontro con i Radicali, la visita al capezzale di Welby. Un’attenzione al dettaglio che ricorda l’organizzazione di un delitto. L’obiettivo, come Riccio sottolinea più volte ai lettori, era invece garantire un diritto sancito dalla Costituzione, la libertà dell’individuo. Libertà che può esprimersi anche con il rifiuto di un trattamento terapeutico.
Ed è proprio questo che Riccio ritiene di fare. Seguendo la volontà del malato, lo seda e stacca il respiratore che consente a Welby di respirare. Non eutanasia, non accanimento terapeutico, come alcuni giornali e politici hanno sostenuto. Il medico lo ribadisce a chiare lettere: semplicemente la sospensione di una cura, da consentire anche se è l’unico mezzo che lega alla vita. Una strada che, secondo Riccio, può essere percorsa nella legalità, evitando accuratamente alcuni ostacoli. Come ricorrere a una sedazione che plachi il dolore e il senso di soffocamento successivo al distacco del respiratore, ma che non provochi direttamente la morte. Preoccupazione per gli aspetti tecnici piuttosto, come trovare un’arteria adatta per somministrare il farmaco. Il tutto per restare nella legalità. Altrimenti si sarebbe trattato di eutanasia, non di una morte opportuna.
Una legalità ricercata, desiderata e ottenuta. Dimostrata dalla sentenza della giudice per l’udienza preliminare, che decreta, nell’ottobre 2007, la non sussistenza di elementi che possano valere a Riccio un processo per omicidio di consenziente. Il diario infatti non termina la sua cronaca con la morte di Welby. Continua a narrarne le conseguenze, personali e soprattutto legali – ma non legislative, vista l’assenza di cambiamenti sulle norme di fine vita.
Grazie al corposo apparato di note, scritte da Gianna Milano, riusciamo a muoverci non solo attraverso le dichiarazioni dei vari schieramenti politici, che alcune volte sembrano commentare il nulla, ma anche nel clima, nazionale e internazionale, in cui le polemiche erano state sollevate. Un percorso parallelo che rivela la nostra prospettiva sulla morte, negata e rifiutata, tra gli ultimi tabù della realtà contemporanea. Ma essenzialmente anche sulla vita.
Un libro parziale, perché coinvolge uno dei protagonisti della vicenda. Un libro che può essere politico, ma che è soprattutto umano. Un libro che può riaccendere il dibattito all’interno della società e stimolare un rilassamento dei fronti. Situazioni simili a quella di Welby, infatti, esistono ancora nell’Italia in cui l’attuazione di un diritto scuote le coscienze e in cui la libertà individuale alcune volte è soffocata.