Il 23 maggio del 2013 leggo su L’Unità: “Il via libera del Parlamento alla sperimentazione è una risposta istituzionale a una situazione di emergenza (!) in cui hanno giocato diversi fattori. Il metodo messo a punto da Stamina e Medestea è già utilizzato con una convenzione dalla Regione Lombardia (il metodo Di Bella lo era nel Lazio, nda); numerose sentenze della magistratura hanno ordinato l’avvio dei trattamenti o la loro prosecuzione (ricordate il caso Di Bella? nda); un’intensa campagna mediatica ha sostenuto e dilatato le aspettative di migliaia di famiglie (ma guarda un po’! nda), l’intervento legislativo era vissuto come un atto di ostilità nei confronti di chi si batte per alleviare le sofferenze di tanti piccoli pazienti (no comment sui piccoli pazienti, nda)…”.
(Ovviamente, nda) “L’esperienza del caso Di Bella, quando la libertà di cura veniva brandita contro la sanità pubblica (mi è sfuggito, nel reparto oncologico in cui ci trovavamo io e mia moglie Valeria, morta di cancro l’8 ottobre 1998, che questo fosse il dettaglio principale, nda) ha aiutato tutti ad essere più consapevoli (compresi i malati e i giornalisti, sicuramente, nda)”.
Non si parla di cancro, ma del metodo Stamina che dovrebbe curare, leggo da Repubblica del 23 maggio: asfissia perinatale, sindrome di Neimann Pick, asfissia cerebrale, sma1, sma5, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, morbo di Parkinson con atrofia multisistemica, sclerosi multipla, leucodistrofia… Aggiungeva il giornale che non è pensabile che la sperimentazione riguardi tutte queste patologie (e non sono elencate tutte).
Siamo nel maggio 2013 ed è stata autorizzata (dal Parlamento all’unanimità, qualcuno vuol forse far soffrire i piccoli pazienti?) a spese del Servizio sanitario nazionale la sperimentazione del sistema detto Stamina, cellule staminali per curare un numero molto alto di malattie. Non mi sembra che il circo mediatico sia ripartito alla grande. D’altra parte dal novembre 1998 non guardo più le trasmissioni di coloro che crearono il caso Di Bella né altre. Leggo dai giornali che tutti hanno imparato dal caso Di Bella, non si faranno gli stessi errori, oggi tutto è ben studiato e predisposto. Io ho delle perplessità, anche perché una delle caratteristiche dell’umanità è che al contrario degli animali noi umani sappiamo anche non trarre insegnamento dalle esperienze passate. Spero che ai malati terminali questa volta non venga chiesto un contributo.
Interessante dunque l’iniziativa di un gruppo di studenti che organizzano il giorno 8 giugno un incontro dal titolo “Italia Unita per la Corretta Informazione Scientifica.” Si parlerà di Ogm, di sperimentazione animale, di metodi di cura con le staminali e delle previsioni dei terremoti. Speriamo che facciano corretta informazione. Qualcosa si è mosso, qualcosa è cambiato rispetto alle manifestazioni di piazza per il metodo Di Bella. Quando nel nostro paese magistratura e parlamento non si occuperanno più di queste questioni ma le lasceranno trattare alla comunità scientifica?
Vorrei qui ricordare quanto io e mia moglie Valeria (all’epoca malata di cancro al pancreas, e costretta a pagare il ticket imposto per sperimentare la cura Di Bella) scrivevamo sulla prima pagina dell’Unità il 13 gennaio 1998.
“La medicina è una scienza sperimentale, empirica, che produce statistiche. Per capire e far capire se una malattia, un tumore, è curabile, bisogna produrre dei dati che facciano capire come le nuove terapie siano più o meno efficaci. Allora per leucemia non si deve più dire male incurabile; certo bambini e adulti ancora muoiono di leucemia, ma tutti hanno anche buone possibilità di guarire, anche se per alcuni tipi di leucemia è più facile. Parola chiave: guarigione. Si sente dire e si vede scritto che è guarito dal male incurabile. Per la leucemia il periodo per cui affermare con quasi certezza che si è guariti sono dieci anni dalla fine della terapia. È ragionevole che dopo dieci anni non ci siano ricadute. La medicina si basa sulle statistiche, il che vuol dire che per avere dei risultati interessanti bisogna essere in grado di avere dei dati attendibili e abbastanza numerosi e significativi. Se la medicina si basa sulle statistiche, è chiaro che si riesce a trovare magari un singolo esempio ed uno contrario praticamente per qualsiasi situazione clinica. Ci sono da un lato tumori molto rari, che quindi sono molto poco studiati e molto poco noti, per i quali non esistono farmaci proprio perché la malattia è rara. Allora se la medicina è statistica, che significato ha andare a intervistare una persona e fargli dire che mentre un mese fa, un anno fa, stava malissimo, ora sta molto meglio? Che senso ha affermare senza commento che sta guarendo? Si è mai posto il problema chi realizza il servizio alla televisione o sui giornali di quale effetto fa sui malati, terminali e non, leggere notizie del genere? Che tipo di informazione viene data dicendo che quella persona è guarita mentre non viene detto quanti sono i casi in cui la stessa terapia non ha funzionato? Oppure che quella terapia funziona solo in certi casi e non in altri? Sapete che cosa succede negli ospedali in cui sono ricoverati malati terminali e non? Terminale. Altra parola chiave: terminale non significa che dato che il malato è terminale gli si può somministrare qualsiasi terapia, tanto è terminale. Un malato terminale può anche diventare non più terminale, può migliorare, può vivere molto più a lungo del previsto. Allora che cosa succede negli ospedali? Che i malati sono agitati e confusi perché sentono che ci sono cure che possono farli guarire o arrestare il cancro. Inoltre si sentono dire da tutti, parenti e amici (è la prima cosa che si sente dire oggi un malato di tumore) «ma come non fai la cura Di Bella?». Anche i medici sono stressati da questa situazione; sembra quasi che siano degli incapaci che stanno torturando i loro pazienti facendoli soffrire inutilmente. È questo lo scopo dei servizi giornalistici? È questa quella che si chiama informazione? Noi non sappiamo se la cura Di Bella sia efficace, in quali tipi di tumori, con quali risultati percentuali, se i dati si riferiscono a pazienti malati di qualsiasi tipo di cancro o se i pazienti sono un campionario selezionato. Quando informazioni che riguardano gli ospedali? Perché non si devono poter consultare tutti i dati relativi ai diversi ospedali, alle diverse terapie che vengono praticate, ai risultati raggiunti? Perché ci si deve informare tramite amici e parenti? Perché la televisione e i giornali danno informazioni superficiali, incomplete e molte volte sbagliate? È questo il modo corretto per fare informazione, se lo scopo è quello di aiutare i malati di cancro? Certo non tutti hanno la possibilità di cercare in rete gli articoli scritti nel mondo sugli ultimi risultati che si riferiscono alla propria malattia. Fornire le informazioni su tutti i dati non aiuterebbe i malati, non sarebbe una grande riforma che costerebbe pochissimo, non ci farebbe sembrare un paese normale? Ultima parola chiave: libertà. La vera libertà è quella di essere informato, di poter scegliere con cognizione di causa; la vera libertà è la libertà di essere curati o perlomeno di veder alleviate le proprie sofferenze in condizioni ottimali. La libertà terapeutica, il fatto che essendo malati terminali, tanto vale provare, non ci sembra libertà. Vogliamo poter scegliere sapendo che cosa e dove scegliere”.
Valeria e io sostenevamo che libertà di cura significa prima di tutto libertà di essere informati in modo corretto su quali siano le diverse possibilità di cura, quali siano i risultati attesi, quali le ragionevoli speranze. Nello stesso numero del giornale vi era un articolo di sostegno alla cura Di Bella. E’ chiaro che parlare di una cura miracolosa del cancro, di tutti i tipi di cancro, fa vendere, attira pubblicità, crea dibattito. Molto meno ha attirato il risultato della sperimentazione. Come spiega l’inchiesta sui giornali Usa degli ultimi anni, dire che in alcuni casi non ci sono speranze, che le cure sono molto spesso lunghe e dolorose e non sempre si guarisce e la percentuale varia a seconda dei tipi di tumore, non fa vendere molto i giornali. Vogliamo tutti essere rassicurati.
I risultati della sperimentazione furono del tutto negativi. Molto correttamente il ministro Bindi disse che “la sperimentazione non si doveva fare, che non c’erano i presupposti scientifici… Le sole vittime di tutta la storia sono stati i malati e i loro familiari, nei confronti dei quali sono saltati tutti i meccanismi di tutela”.
Dodici anni dopo, il 6 aprile 2010 (dunque dopo la morte di Valeria) sollevavo nuovamente sulla questione Di Bella su Galileo: Cancro, più finanziamenti, meno promesse.
Vorrei dare un consiglio ai nostri governanti, a quelli di oggi e di domani: tutti vogliamo vivere sani, tutti vogliamo guarire se malati, tutti speriamo in cure efficaci e non dolorose. Compito di chi decide le politiche sanitarie di un paese è dare le informazioni corrette o lasciare dare le informazioni a quelli che sanno di che cosa parlano. Ma sembra di capire dai tanti teatri della chiacchiera che televisivamente fa molta più audience chi non ha la minima idea di quello di cui sta parlando; così è molto più facile litigare, basta dire il contrario di quello che afferma l’interlocutore, tanto non avendo idea dell’argomento, dire A o il suo contrario B è assolutamente indifferente.
Insomma lascerei fuori il cancro, i malati di cancro, le terapie sul cancro dal circo mediatico. E non prometterei cure più o meno miracolose per il futuro, piuttosto annuncerei che i fondi per la ricerca medica saranno aumentati, saranno aumentati i ricercatori, saranno aumentate le valutazioni internazionali dei risultati per rendere sempre migliore la ricerca. Allora mi piacerebbe che un primo ministro affermasse un giorno non troppo lontano che le cure per tutti i malati, che la prevenzione per tutta la popolazione, la attività di ricerca di base e specialistica, è una delle priorità del paese, e tanto si investirà in questo settore, non dando a nessuno speranze miracolistiche ma ragionevoli e alle volte fornendo informazioni “sgradevoli” su come si affrontano determinate malattie, che possibile esito possono avere, quali sono i rischi e i vantaggi.
Nell’articolo del 1998 dicevamo che una cosa molto semplice da fare era mettere in rete per ogni struttura ospedaliera i tipi di malattie trattate, i tipi di interventi, i risultati ottenuti. Che tutti si potessero fare un’idea, magari mutuata tramite i medici di base, di quali possono essere le migliori strutture. Che non ci si faccia curare sulla base di quello che dice un cugino, un amico, un fratello. Di molti ospedali questi dati ci sono in rete, di altri grandi ospedali ci sono a malapena i numeri dei centralini. Giorno verrà in cui un presidente del consiglio annuncerà che tutti i dati sono a disposizione dei cittadini? Evitando che la malattia incurabile, come continuano a chiamarla i nostri cari telegiornali, sia miracolosamente curabile per volontà politica o mediatica?
Credits immagine: Alex E. Proimos/Flickr
Purtroppo devo dire che questo articolo non mi è d’aiuto. Anch’io ho una moglie che si sta curando, ma dopo aver letto quanto sopra mi sembra che le persone che si informano e cercano una soluzione vengano considerate come “aventi anello al naso” ,di cultura e capacità di pensare e di decidere uguale a ZERO ! Io non mi sento così e NESSUNO DEVE SENTIRSI INCAPACE DI DECIDERE, specialmente quando si informa a sui pro e i contro di ciascuna terapia che gli venga proposta.
La “dittatura sanitaria” sarà la principale “malattia” da sconfiggere, ma solo UNO può farlo.