Categorie: Società

Dai gesti alle parole

Alcuni tasselli in più vanno a completare il quadro di una delle più importanti scoperte di neuroscienze degli ultimi anni, per la cronaca tutta (o quasi) italiana. Uno studio su Science aggiunge infatti nuovi membri alla famiglia dei neuroni specchio, descritti per la prima volta nel 1996 dal gruppo di Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma. Queste cellule nervose, situate nella corteccia ventrale premotoria (chiamata area F5 nelle mappe anatomiche del cervello) si attivano sia quando il soggetto compie un movimento, sia quando osserva un altro individuo compiere quello stesso movimento. Negli ultimi anni si è capito che questi neuroni svolgono un ruolo chiave nell’apprendimento (permettono di imparare per osservazione e imitazione i movimenti più semplici come quelli più complessi) e nelle interazioni sociali, perché ci permettono di provare empatia o di interpretare le azioni altrui. Tanto che diversi studi suggeriscono che nei malati di autismo questi neuroni non funzionino correttamente. Finora, tuttavia, era stata descritta solo una popolazione di neuroni specchio, quelli appunto dell’area F5. Ora, in uno studio su Science, il gruppo di Parma (in collaborazione con i ricercatori belgi dell’Università Cattolica di Leuven) descrive altri tre tipi di neuroni specchio il cui comportamento si differenzia in modo importante da quelli “classici”. A illustrare la ricerca è Giuseppe Luppino, professore di fisiologia all’Università di Parma e cofirmatario dello studio insieme a Giacomo Rizzolatti. “I neuroni specchio noti finora” spiega Luppino “si attivano quando vediamo un’altra persona fare qualcosa, ma non sono sensibili all’oggetto. Che l’altra persona prenda una palla o un pezzo di pane, per loro è lo stesso. Ma perché l’informazione sull’azione serva davvero a qualcosa, io devo avere anche la capacità di discriminare l’oggetto. Per questo pensavamo che dovessero esistere altri neuroni specchio capaci di codificarlo, e ci siamo messi a cercarli”. Lo studio non si è svolto su esseri umani ma su macachi, il cui cervello è stato osservato con la risonanza magnetica funzionale (FMRi), che ha permesso di monitorare completamente l’attività del cervello delle scimmie mentre venivano proiettati brevi filmati in cui si vedevano persone compiere azioni, oppure mani isolate dal contesto che afferravano oggetti, o ancora solo oggetti. “Oltre ai neuroni specchio classici, abbiamo identificato altre tre regioni cerebrali che si attivavano durante la visione dei filmati. La prima, situata nella corteccia motoria, risponde solo ad azioni inserite in un contesto, cioè a una scena completa in cui una persona afferra uno specifico oggetto. Una seconda area, posta davanti alla prima, risponde anche alla visione isolata di una mano che prende un oggetto, a un’azione mimata o addirittura a una mano robotica. Sembra insomma che questa area codifichi l’azione in modo astratto. Ancora più avanti c’è una terza regione che risponde anch’essa alle azioni isolate, ma fa anche qualcosa in più. Si attiva cioè per singoli oggetti”. Questa area sembra quindi avere la capacità di mettere in relazione in modo astratto azioni e oggetti. Ed è qui che lo studio dei ricercatori di Parma si collega alle teorie sull’evoluzione del linguaggio. “Già da tempo si ipotizza che le regioni che ospitano i neuroni specchio, individuate nelle scimmie, siano quelle che poi si sono evolute diventando i centri del linguaggio nell’essere umano, le aree di Broca. Ora, il fatto che in queste regioni si trovino anche aree che codificano in modo astratto l’azione e collegano oggetti ad azioni rappresenta una conferma forte di questa teoria” spiega Luppino. Queste aree fanno infatti per il movimento quello che fa il linguaggio quando diciamo “la mano prende la mela”. Mettono in relazione un’azione con un oggetto, un verbo con un complemento oggetto se vogliamo, che è la struttura primordiale del linguaggio. Che probabilmente, quindi, non deve la sua comparsa allo sviluppo di aree cerebrali dedicate all’udito come a volte si è suggerito, ma allo sviluppo di aree motorie.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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