Dalla parte dell’orso marsicano

Sparsi per l’Appennino centrale ci sono 50-70 esemplari di orso bruno marsicano. Un numero troppo esiguo per garantire la sopravvivenza di questa specie, soprattutto in spazi che spesso si rivelano troppo stretti e troppo caratterizzati dalle attività umane. Ecco perché, se finora alla tutela del plantigrado ci aveva pensato solo il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm), ora è stata siglata un’intesa tra le varie istituzioni interessate dalla presenza dell’orso. Si chiama Piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano (Patom) e coinvolge, oltre all’Ente Parco, le Regioni Abruzzo, Lazio e Molise, le province e altri parchi, come quello della Majella, del Gran Sasso e Monti della Laga e quello del Sirente-Velino, tutti coordinati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Presentato già il 18 aprile scorso a Pescasseroli (L’Aquila) durante l’evento “Orso, lupo and friends”, il Patom, che sarà firmato ufficialmente il prossimo 10 maggio, intende mettere in atto delle azioni concrete di conservazione del grande carnivoro dentro e fuori il Parco. A fornire i dati scientifici dai quali partire per una nuova gestione del territorio compatibile con la sopravvivenza dell’orso sarà una ricerca quinquennale guidata da Luigi Boitani e condotta dal Dipartimento di Biologia animale e dell’uomo (Bau) dell’Università “La Sapienza” di Roma in collaborazione con la Wildlife conservation society (Wcs).“Il Patom riempie un vuoto normativo e spezza quella frammentarietà di gestione del territorio che rende difficile la tutela dell’animale”, spiega Paolo Ciucci, ricercatore del Bau. “Le aree protette non potevano fare tutto da sole. Il numero di esemplari presenti è quasi al limite del rischio di estinzione e per essi è importante spostarsi attraverso i cosiddetti corridoi ecologici senza entrare in conflitto con l’essere umano”. Proprio la collaborazione con altri parchi sarà utile per scegliere e tutelare quelle zone che possono diventare un ponte di collegamento e passaggio sicuri per gli orsi. Come messo in evidenza anche dal direttore del Parco d’Abruzzo Aldo di Benedetto, “l’orso bruno è una specie che ha bisogno di grandi spazi, non-circoscrivibili: un orso maschio è stato monitorato su un’area di 200 chilometri quadrati e anche le femmine tendono ad uscire dall’area protetta del parco, spingendosi dove le norme di tutela sono meno rigide e la presenza dell’uomo crea rischi per la specie (morte per avvelenamento ed errori venatori)”. Da qui l’idea di avviare un monitoraggio della specie, dei suoi spostamenti e dei fattori di criticità. “La ricerca intende studiare l’ecologia e i rischi per l’orso derivanti dai rapporti con le attività antropiche. Vogliamo munire di radiocollari, molto leggeri, staccabili a comando e dotati di Gprs, 10-12 orsi, in modo da poterli localizzare sempre e capire come vivono”, spiega Ciucci. “Iniziata nel gennaio 2006, durerà cinque anni e si avvarrà del contributo del Parco e delle sue guardie. I primi risultati saranno disponibili a partire dal secondo anno”. Quando dalle analisi, quindi, emergesse un utilizzo del territorio e delle risorse incompatibile con la tutela dell’orso, il Patom avrà l’obbligo di recepire e dare attuazione con delle norme alle linee di ricerca emerse. Tra le azioni possibili potrebbe esserci la revisione della viabilità, con la chiusura di alcune strade e altre ad accesso regolamentato, la creazione di nuovi corridoi per gli spostamenti dell’animale nell’Appennino centrale, il pagamento di indennizzi per i danni causati dall’orso ad allevatori, agricoltori e apicoltori e la distribuzione di recinzioni elettrificate per tenerli lontano. Ma anche la limitazione della caccia. “Nelle Zone a protezione esterna (Zpe), quindi quelle più esterne del parco, sul versante laziale, è permessa la caccia. E proprio qui, per esempio, abbiamo rilevato una presenza intensa degli orsi”, continua Ciucci. “Quindi il Patom potrebbe con delle norme ad hoc autorizzare la caccia solo in certi periodi e modi piuttosto che in altri. E ancora, se emergesse che i piani di assestamento forestale modificano l’habitat rendendolo inospitale per l’orso, anche in questo caso si dovrebbe intervenire”.

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