Dava Sobel e il segreto di Copernico

Per diffondere le teorie di Copernico e compiere uno dei passi fondamentali di quella che viene definita Rivoluzione scientifica, Galileo Galilei scelse di scrivere il libro più famoso della sua produzione proprio come un dibattito tra due scienziati. La forma del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” non stupisce: era un tentativo di nascondere al clero che il libro era una confutazione della dottrina tolemaica, per evitare la persecuzione come eretico. Ma che oggi possa essere scritto un libro di divulgazione come dialogo tra due personaggi – o ancor più come sceneggiatura teatrale – potrebbe suonare anacronistico. Eppure, l’ultimo libro di Dava Sobel, dal titolo “Il segreto di Copernico” – edito in Italia da Rizzoli e presentato lo scorso 21 gennaio in una lectio dell’autrice, durante il Festival della Scienza di Roma 2012 – ha proprio questa struttura. Abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice americana di raccontarci come è nato questo libro e di spiegarci la sua scelta.

Perché un libro sulla vita di Copernico e perché un dialogo?

“La figura di questo scienziato mi ha sempre affascinato. È un uomo che aveva un’idea tanto rivoluzionaria per il suo tempo che a lungo scelse di non divulgarla, per paura di non essere compreso dai suoi contemporanei. Oggi questo comportamento ci apparirebbe strano, visto che i ricercatori pubblicano anche le teorie più innovative, e spesso ne parlano direttamente col pubblico. Ma allora divulgare le proprie convinzioni e farle accettare era complicato: non erano molti quelli che possedevano delle conoscenze scientifiche, i modi della condivisione erano molto complessi e i tempi decisamente più lunghi. Volevo raccontare questa storia. Mi son sempre domandata perché uno scienziato che per tutta la vita si è ostinato a non condividere pubblicamente le proprie idee rivoluzionarie, a un certo punto potesse essersi deciso a farlo. La spiegazione, in realtà è semplice: qualcuno – il matematico e astronomo austriaco Giorgio Gioacchino Retico – lo ha convinto. A lungo ho immaginato come potesse essere avvenuta questa opera di convincimento durata ben due anni, e di cui non si può avere testimonianza. Ho avuto bisogno di documentarmi per molto tempo prima di decidere di scrivere questo libro”.

La prima parte del libro è dedicata a un dettagliato inquadramento storico. Perché questa divisione invece che limitarsi a un’unica forma, in questo caso il dialogo?

“In effetti l’idea iniziale era proprio questa. Ma poi l’editore mi ha suggerito di inserire una parte più storica, di cui mi sono servita per spiegare meglio chi fosse Copernico, per svelarne il lato umano. Sono contenta che mi sia stato dato questo suggerimento, a conti fatti tutta l’introduzione aiuta a distinguere meglio i fatti da ciò che io ho potuto solo immaginare. In più, quando ho aggiunto la parte storica, ho potuto rivedere il dialogo con maggiore libertà, senza la paura di far correre troppo l’immaginazione del lettore”.

Più che un dialogo, in realtà, il testo sembra una sceneggiatura teatrale. Perché questa scelta?

“Il teatro ha delle forme che non sono quasi mai esplorate dalla comunicazione scientifica, e talvolta nemmeno dall’insegnamento in senso più ampio. Invece quest’arte ha una potenza comunicativa fuori dal comune. Un libro divulgativo in ambito scientifico che può essere recitato ha molti più ‘usi’. Per esempio, oltre che per spiegare l’astronomia e per insegnare la storia, potrebbe essere usato per studiare le lingue, se recitato in idiomi diversi. E ha il pregio di rendere il racconto più appassionante”.

Crede che si possa essere dei buoni divulgatori scientifici anche senza far parte del mondo della ricerca?

“Certamente. Il fatto che siano anche i non esperti a parlare di scienza è fondamentale per la divulgazione: permette di rendere i concetti più comprensibili a tutti. Ovviamente, la correttezza delle informazioni deve essere alla base di qualsiasi forma di comunicazione; come prima cosa bisogna andare a studiare nel dettaglio i temi di cui si vuole parlare, per essere sicuri di non commettere errori, e anche di non travisare il pensiero degli scienziati. Il ruolo di noi comunicatori della scienza è quello di divulgare le opinioni dei ricercatori in maniera chiara e accattivante, senza dimenticare che abbiamo una grande responsabilità”.

Laura Berardi

Dopo essersi laureata in fisica presso Sapienza Università di Roma con una tesi in Meccanica quantistica, ha deciso di dedicarsi alla comunicazione scientifica: ha frequentato il Master SGP e si è diplomata nel 2011 con una dissertazione su scienza e mass media, nello specifico sul tema della procreazione medicalmente assistita. Oggi è redattrice scientifica a Quotidiano Sanità, collabora con Galileo e Sapere e scrive per Wired.

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  • ho letto "Longitude" , quasi una decina di anni fa, e l'ho trovato un vero capolavoro. La Sobel scrive in modo egregio.

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