Categorie: Ambiente

Deepwater Horizon: un quinto del petrolio è sul fondo del mare

Un disastro totale. Iniziato male e finito anche peggio. Le conseguenze dell’incidente della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera di proprietà Transocean affondata il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico, come vi abbiamo raccontato, sono state tremende. Oltre a costare la vita a 11 persone, l’incidente ha provocato un gravissimo danno ambientale. In mare si sono riversati circa 5 milioni di barili di petrolio, che hanno provocato la distruzione di un intero ecosistema. L’oro nero ha ucciso migliaia di uccelli marini, mammiferi, tartarughe e pesci e ha gravemente danneggiato i coralli sul fondo del mare. E le operazioni di bonifica hanno fatto più male che bene, devastando i luoghi deputati alla riproduzione della fauna. Oggi, a quattro anni di distanza dall’incidente, siamo almeno in grado di dire qualcosa di più sul petrolio sversato in mare: David Valentine e colleghi, del Woods Hole Oceanographics Institute (Whoi) alla University of California, Santa Barbara, sono riusciti a tracciare il cammino del petrolio fino alle profondità oceaniche. Le scoperte sono state pubblicate sui Proceedings of the National Academy of Sciences.

Analizzando i dati relativi a oltre 3mila campioni raccolti da 534 diverse posizioni nel corso di 12 spedizioni sottomarine, gli scienziati hanno identificato un’area oceanica ampia circa 3mila chilometri quadrati in cui, secondo le stime, si sarebbe depositato tra il 2 e il 16% del petrolio. La ricaduta del liquido in fondo al mare ha creato depositi molto sottili (più o meno mezzo centimetro) a sud-ovest del pozzo Macondo (quello in fase di trivellazione quando avvenne l’incidente), ma la distribuzione del petrolio, secondo gli scienziati, è molto irregolare.

“Stando alle osservazioni effettuate”, racconta Valentine, “possiamo affermare che i depositi vengono effettivamente da Macondo: il petrolio era sospeso nell’oceano e poi si è stabilito sul fondo, senza mai affiorare in superficie. C’erano minuscole gocce di petrolio intrappolate a profondità oceaniche di circa mille metri, spinte dalle correnti, che si sono poi aggregate e precipitate trecento metri più in basso”. Gli scienziati hanno anche notato che, effettivamente, i coralli oceanici sono stati profondamente danneggiati dallo sversamento.

Resta ancora aperta, comunque, la caccia al restante 80% del petrolio. Ma non sarà facile. Secondo i ricercatori, il liquido si è probabilmente distribuito in un’area molto più vasta, a macchia di leopardo, e serviranno studi più estensivi per determinare dove sia andato a finire. “Le nostre scoperte, comunque”, conclude Valentine, “saranno utili per stimare il danno dell’incidente e per pianificare ricerche future per definire meglio l’estensione e la natura della contaminazione. E aiuteranno a prevedere che azioni intraprendere in caso di incidenti simili”. Speriamo non ce ne sia bisogno.

Via: Wired.it

Credits immagine: US Coast Guard/Wikipedia

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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  • E' di comune conoscenza che esistono razze di batteri in grado di nutrirsi degli idrocarburi sia in superficie che nelle profondità marine
    ritengo di conseguenza che gli effetti dello sversamento saranno assorbiti ed annullati da madre natura. Quanto al rapporto delle quantità di giacimenti petroliferi negli oceani con quello della superficie verosimilmente sarà lo stesso fra mari e terre emerse.
    Speriamo che si giunga presto alla energia da "fusione nucleare" che potrà sostituire la fonte "idrocarburi" con indubbio vantaggio ambientale, altrimenti si può ipotizzare la sostituzione del torio allo
    uranio nelle centrali atomiche a "fissione" con altrettanti vantaggi per l'economia ambientale. Max938

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