Degenerazione maculare, la terapia genica funziona: i primi dati

degenerazione maculare

È una delle cause più comuni di cecità negli over 50. E nel prossimo futuro la soluzione potrebbe arrivare dalla terapia genica. Questa almeno è la promessa di uno studio sulla degenerazione maculare senile presentato al Congresso annuale dell’Accademia Americana di Oftalmologia. I ricercatori del Weill Cornell Medical College di New York sono partiti da un farmaco esistente e hanno creato un sistema di trasferimento genico che consente la produzione in loco, direttamente nell’occhio, dopo una sola somministrazione. E che solleva finalmente i pazienti dall’obbligo di sottoporsi a fastidiose iniezioni intraoculari a cadenza quasi mensile. Attualmente al vaglio della sperimentazione clinica, la terapia genica rappresenterebbe un grosso miglioramento della qualità di vita per chi soffre di questa malattia.

A rischio cecità

Se non adeguatamente curata, la degenerazione maculare porta a una grave perdita della visione centrale, poiché la malattia colpisce la macula, la porzione più centrale della retina. Ne soffre circa il 20% della popolazione mondiale e si manifesta in genere dopo i 55 anni, salvo rari casi di predisposizione genetica. Ne esistono due tipi, “secca” e “umida”, entrambe legate all’invecchiamento dell’occhio, al ridotto apporto di sangue ed elementi nutritivi e alla comparsa di lesioni. Quella “umida”, che è anche la più rara, si caratterizza soprattutto per la formazione anomala di nuovi vasi sanguigni. Vasi dalla parete particolarmente fragile, che lasciano fuoriuscire del liquido essudativo (la parte liquida del sangue) e danneggiano così le cellule della retina.

Le iniezioni contro la degenerazione maculare, una terapia invasiva

La prima buona notizia per i pazienti affetti da degenerazione maculare umida è arrivata poco più di dieci anni fa, con la scoperta di una nuova classe di farmaci inibitori di VEGF (vascular endothelial growth factor), una sottofamiglia di fattori di crescita dell’endotelio vascolare. La terapia inibisce la formazione dei vasi sanguigni anomali e impedisce la perdita della vista, con una percentuale di successo del 90% nelle sperimentazioni cliniche. Un risultato sorprendente: peccato che non sia vero nel mondo reale. Fuori dalle sperimentazioni, il farmaco funziona, ma su una percentuale più bassa di pazienti, appena il 50%.

Non è sfortuna e probabilmente neanche colpa della terapia in sé. Il trattamento è piuttosto invasivo e richiede iniezioni ogni 4 o 8 settimane, direttamente nell’occhio. Il paziente deve recarsi personalmente dall’oftalmologo per ricevere la cura, un’occorrenza che può rivelarsi particolarmente scomoda soprattutto per i più anziani, che dipendono da altri per gli spostamenti. Insomma, è probabile che una parte dei pazienti non si attenga scrupolosamente al programma, ma finisca per mancare a uno o più appuntamenti.

Nuove prospettive dalla terapia genica

L’interesse per la terapia genica nasce anche per trovare un’alternativa più comoda e sostenibile per medici e pazienti. L’idea è di non somministrare direttamente il farmaco, ma di fornire alle cellule della retina il materiale genetico necessario per produrlo loro stesse. I ricercatori hanno studiato un sistema per trasferire nell’occhio il gene che codifica aflibercet, un noto inibitore di VEGF, e hanno dimostrato che nei topi gli effetti sono paragonabili a quelli del farmaco somministrato in maniera tradizionale. Ma la vera rivoluzione della terapia genica sta nel fatto che con una singola dose si potrebbero istruire le cellule dell’occhio a produrre il farmaco per tutta la vita. E non richiederebbe un intervento chirurgico, ma una semplice iniezione nell’ufficio del medico.

È ancora in corso una prima sperimentazione clinica su 12 persone affette da degenerazione maculare umida, che dopo una media di 35 iniezioni di anti-VEGF ciascuno (un paziente addirittura 109), hanno ricevuto la terapia genica, sospendendo gli altri trattamenti. Sono trascorsi già 6 mesi e nessuno dei pazienti ha avuto bisogno di riprendere le assunzioni del farmaco per tenere sotto controllo la malattia.

Riferimenti: Accademia Americana di Oftalmologia

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