Dengue e Chikungunya, nuova mappa del rischio in Italia

Dengue
(Foto: National Institute of Allergy and Infectious Diseases su Unsplash)

Circa metà della popolazione mondiale è a rischio di contrarre la dengue. A stimare il pericolo che vola sulle ali delle zanzare è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E l’Italia non è immune, come abbiamo visto nei mesi scorsi. Ora uno studio pubblicato su The Lancet ha stimato il rischio di nuove epidemie di arbovirosi, ossia tutte quelle malattie che, come la dengue, vengono trasmesse dalla puntura di animali come zanzare, zecche e pappataci. La mappa tracciata dai ricercatori parla chiaro: a rischio sono soprattutto le zone urbane e suburbane del Nord Italia, per esempio di Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, ma anche quelle di alcune regioni centrali e meridionali, in particolare Toscana, Lazio e Campania.

La situazione sembra particolarmente preoccupante per la Chikungunya, una malattia che porta febbre e dolori forti e viene trasmessa dalla zanzara tigre. Emilia-Romagna, Lazio e Calabria sono già state colpite da epidemie di Chikungunya negli ultimi anni, ma le estati più lunghe e le temperature più alte stanno aumentando il rischio di nuovi focolai autoctoni

La crisi climatica sta anche rendendo il nostro paese particolarmente adatto alla zanzara Aedes aegypti, più efficace di quelle ormai stanziali sul nostro territorio, come la Aedes albopictus, nel trasmettere le arbovirosi. “L’areale di entrambe le specie di zanzare è in espansione, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa. Le aree più a rischio sono nel Mediterraneo, come mostrano i recenti focolai di dengue in Veneto nel 2020 e in Lombardia e Lazio nel 2023”, chiarisce Piero Poletti, uno degli autori dello studio e ricercatore di epidemiologia computazionale della Fondazione Bruno Kessler di Trento.

Chi trasmette l’infezione?

A pungere le persone, e quindi trasmettere l’arbovirosi, sono le zanzare femmine adulte. Lo studio ha elaborato un modello matematico per stimare come cambia la loro presenza variando la temperatura e quindi la stagionalità. “L’impatto del cambiamento climatico non è semplice da stimare,” precisa Poletti. “Da un lato, l’aumento delle temperature crea condizioni favorevoli all’espansione delle aree ecologicamente adatte per le zanzare. Il rischio di trasmissione di queste malattie viene così introdotto anche in zone precedentemente non colpite, come il Nord Italia. D’altra parte, in regioni già molto calde, le temperature estreme potrebbero limitare la capacità di questi insetti di sopravvivere o riprodursi”.

Quali sono le zone più a rischio?

I punti più a rischio sono le zone con un’alta presenza di zanzare e una bassa densità umana. “Immaginate una persona infetta in una stanza piena di zanzare” spiega Poletti. “Se nella stanza è presente solo un’altra persona, la probabilità che questa venga punta e quindi contagiata è altissima. Se invece nella stanza ci fossero altre cento persone, le zanzare pungerebbero con maggiore probabilità soggetti non infetti e quindi il rischio di trasmissione calerebbe. Di fatto, un’alta densità umana agisce come fattore protettivo contro la trasmissione del virus”.

Come si previene la trasmissione?

La strategia preventiva più efficace consiste nell’evitare le punture: usare repellenti, non lasciare scoperte grandi aree del corpo, utilizzare zanzariere. La varietà delle arbovirosi rende difficile la vaccinazione universale. L’AIFA ha autorizzato nel febbraio del 2023 l’utilizzo di Qdenga, un vaccino per la dengue, mentre è dello scorso novembre la notizia dell’approvazione negli Stati Uniti del primo vaccino al mondo contro la Chikungunya.

Fondamentali sono i larvicidi e l’eliminazione dei siti di riproduzione delle zanzare. Da gestire sono dunque i luoghi pubblici e privati in cui si concentra l’acqua stagnante, come vasi di fiori e copertoni abbandonati.  Giocano un ruolo chiave anche l’eliminazione di rifiuti organici, la manutenzione dei muri per coprire le crepe e la pulizia di angoli bui, umidi e freschi delle abitazioni.

La priorità, quindi, è ridurre la popolazione di insetti. Non sarebbe sostenibile però condurre disinfestazioni indiscriminatamente su tutto il territorio nazionale e in qualsiasi periodo dell’anno. “Capire quali sono le zone a rischio” afferma Poletti, “e quando questo rischio si manifesta aiuta sicuramente a pianificare interventi efficaci”. 

Dove intervenire?

I fattori da tenere in considerazione per calcolare il rischio sono tre: le zanzare, la popolazione umana e l’interazione tra le zanzare e la popolazione umana. Integrando queste informazioni è stato stimato l’R0, numero che il Covid-19 ci ha reso particolarmente familiare.  “L’R0 è una stima della potenziale trasmissibilità di una malattia e ha come soglia 1”, spiega Poletti. “Un R0 superiore a 1 indica la possibile insorgenza di un’epidemia, mentre un valore inferiore suggerisce un declino dell’incidenza, quindi uno spegnersi dell’infezione. Questa quantità è molto importante dal punto di vista epidemiologico, perché indica quali sono le zone da tenere sotto stretta sorveglianza”. Il valore aggiunto di questa ricerca ai modelli studiati finora è il livello di dettaglio senza precedenti: la stima del rischio arriva ad aree di 250 m×250 m, assegnando un valore di R0 diverso ad ogni isolato.

Come evitare la prossima pandemia?

“Una strategia globale di prevenzione e controllo deve necessariamente includere una comunicazione efficace a più livelli,” conclude Poletti. “Da un lato, è essenziale aumentare la consapevolezza tra i professionisti sanitari, attraverso la formazione o semplicemente la sensibilizzazione alla possibilità che dietro febbri estive possano nascondersi le malattie trasmesse da queste zanzare. Dall’altro, è cruciale informare adeguatamente la popolazione, poiché il coinvolgimento attivo della comunità gioca un ruolo chiave nella gestione di qualsiasi epidemia”.

Foto di National Institute of Allergy and Infectious Diseases su Unsplash