Crisi climatica, l’appello di 11 mila scienziati: ecco 6 cose da cambiare, subito

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(Foto via Pixabay)

Se c’è qualcuno che ancora pensa che la crisi climatica sia un’esagerazione di pochi scienziati, una bufala o una scusa per saltare scuola, deve ricredersi. 11 mila scienziati di 153 paesi hanno oggi firmato un appello in cui mostrano le realtà della crisi, denunciano l’inerzia politica e chiedono pratiche più incisive su sei macro-aree, dall’energia, all’economia alla produzione del cibo. L’appello è uscito sulla rivista Bioscience ed è l’articolo scientifico col maggior numero di firme mai pubblicato. Come scrivono, si tratta di un obbligo morale degli scienziati che devono mettere in guardia chiaramente l’umanità da “qualsiasi grande minaccia esistenziale”: questa è l’emergenza climatica. Una forma di impegno per questi scienziati che ha quasi l’aria di un manifesto. Tanto che William Ripple, ecologo dell’Università dell’Oregon, ha raccontato: “Siamo incoraggiati dalla recente crescita di attenzione. Gli studenti scioperano e movimenti dal basso in molti paesi pretendono il cambiamento”.

Crisi climatica, un problema di sistema

L’allarme degli scienziati si basa sui dati scientifici degli ultimi quarant’anni. Quando si parla di crisi climatica, si legge nell’appello, si fa spesso riferimento soltanto alla crescita delle temperature, “ma questa è una misura inadeguata per catturare l’ampiezza dell’impatto umano”. Perciò in alcune semplici tabelle si trovano raccolti l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci, la crescita di incendi e di eventi estremi e le conseguenze sulla biodiversità. E di pari passo le tabelle illustrano quanto è cresciuto il nostro impatto sul globo e lo sfruttamento delle sue risorse. “Nell’appello si parla per forza anche di economia”, spiega Ferdinando Boero, zoologo dell’Università di Napoli che ha contribuito all’articolo. “Coniugare economia ed ecologia è oggi il nostro problema numero uno”.

Dagli anni ’80 ad oggi la popolazione umana è aumentata del +15,5% ogni dieci anni e il Pil globale del 80%. I capi di allevamento intensivo, grande causa di inquinamento, sono passati da 2,8 miliardi a quasi 4 miliardi di capi, + 8% ogni 10 anni. E ancora, il disboscamento che dal 2000 è raddoppiato ogni dieci anni. “Ma non è per cattiveria che si disbosca l’Amazzonia: è per avere più aree da destinare all’agricoltura”, aggiunge Boero. Insomma, la crisi climatica è un problema di sistema e, scrivono, è strettamente legata al consumo eccessivo del nostro stile di vita e del nostro sistema economico.

Che fare? Le proposte per la crisi climatica

I ricercatori chiedono perciò immediati interventi in sei aree, a partire dalla produzione di energia. Affinché le fonti fossili siano sostituite con quelle rinnovabili, scrivono, vanno eliminati i sussidi ai combustibili fossili e anzi imposte o inasprite le tasse sull’uso del carbonio. Dunque bisogna diminuire le emissioni di metano, idrofluorocarburi e altri inquinanti dalla breve durata. “Ridurre rapidamente queste emissioni può sul breve periodo ridurre di oltre il 50 per cento il riscaldamento nei prossimi decenni”.

Gli ecosistemi che contribuiscono all’assorbimento di anidride carbonica, come foreste o radure, vanno ripristinati e protetti e va impedito il consumo selvaggio di suolo. Anche la produzione di cibo è parte del problema: la diminuzione dell’uso di carne riduce le emissioni soprattutto di metano. E si garantisce così che parte delle terre coltivabili tornino alla produzione di cibo umano e non siano destinate a maggioranza per l’alimentazione delle bestie da macello. Più in generale, infine, gli scienziati pensano alla questione della crescita e scrivono che si devono spostare gli obiettivi dalla crescita del Pil e dalla ricerca di ricchezza. “Continuiamo a parlare di crescita economica, intanto però i nostri ecosistemi decrescono. Non può esistere una buona economia con ecosistemi distrutti”, commenta Boero. Infine anche la popolazione umana, che oggi cresce di 200 mila persone al giorno, deve stabilizzarsi attraverso pratiche che assicurino giustizia economica e sociale.

Segnali positivi non sufficienti

Come spiegano gli esperti ci sono tuttavia alcuni segnali positivi cui guardare. Per esempio la diminuzione della crescita demografica, la crescita del comparto solare ed eolico del 373% a decade (ma pur sempre 28 volte meno delle fonti fossili), oppure il recupero di parte della Foresta amazzonica, ma nell’ultimo di nuovo minacciata dall’aumento del disboscamento. Tutto ciò non basta poiché gli effetti dei cambiamenti climatici sono già presenti e, anzi, accelereranno.

Servono dunque azioni più incisive. Infatti, nonostante siano quarant’anni che si parla di cambiamento climatico, a partire dalla prima conferenza di Ginevra nel 1979, “abbiamo in larga misura continuato a fare come abbiamo sempre fatto e abbiamo fallito nell’affrontare l’intera situazione”. Dopo anni di appelli e proposte, viene da pensare che la storia è maestra di vita ma non ha scolari, come scrisse Gramsci. Ma stavolta proprio gli scioperi degli “scolari” hanno finalmente portato la crisi climatica nel dibattito pubblico. E difatti gli 11 mila scienziati aperto la possibilità di firmare la dichiarazione anche ai semplici cittadini.

Riferimenti: Bioscience

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