Diabete in gravidanza, la metformina non aumenta le anomalie congenite

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Nuove prove sulla sicurezza di un farmaco utilizzato contro il diabete, la metformina, anche durante la gravidanza, nel caso del cosiddetto diabete gestazionale. A fornire queste prove è uno studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc), in collaborazione con la Fondazione toscana Gabriele Monasterio. Lo studio, recentemente pubblicato su The British medical journal, ha analizzato un campione di donne – esposte alla metformina durante la gravidanza – superiore di ben cinque volte rispetto a quelli delle precedenti ricerche documentate in letteratura.

Da cosa nasce lo studio 
“L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare se l’assunzione di metformina nel primo trimestre di gravidanza comporti rischi di difetti alla nascita, considerando che in letteratura esistono pochi studi finalizzati ad accertare il tasso di anomalie congenite dovute all’uso del farmaco durante la gestazione”, spiega Anna Pierini, ricercatrice del Cnr-Ifc “La metformina viene prescritta anche nella sindrome dell’ovaio policistico, così come per la riduzione di peso nell’obesità non diabetica, per normalizzare il ciclo mestruale o per favorire il concepimento. L’aumento delle prescrizioni ha generato una crescita del rischio di esposizioni involontarie a questo farmaco. Data l’elevata percentuale di gravidanze non programmate, le donne potrebbero essere esposte al farmaco anche senza essere a conoscenza del concepimento”.

I dati
“Sono state osservate quasi 1,9 milioni di nascite in Europa, fra il 2006 e il 2013, utilizzando i dati di 11 registri di anomalie congenite di 9 nazioni europee. Nello specifico, sono stati rilevati 50.167 bambini affetti da anomalie congenite tra nati vivi, morti fetali e interruzioni di gravidanza a seguito di diagnosi prenatale di anomalie”, prosegue Pierini. “Sui 50.167 casi analizzati abbiamo riscontrato 168 casi di anomalie congenite esposti a metformina, pari a 3,3 per 1.000 nati. Non è emersa alcuna evidenza di aumento del rischio per tutte le anomalie congenite maggiori a seguito dell’assunzione di metformina nel primo trimestre di gravidanza, per diabete o altre indicazioni”.

L’unico eccesso evidenziato è quello relativo all’atresia della valvola polmonare, un difetto cardiaco registrato in 3 casi esposti a metformina su 229 casi totali. “Tra i tre casi, una mamma aveva il diabete pregestazionale e altre due mamme avevano assunto induttori dell’ovulazione”, prosegue Pierini. “Nonostante la necessità di ulteriore sorveglianza per aumentare la dimensione del campione e per il follow-up del segnale cardiaco emerso dallo studio, questi risultati sono rassicuranti, considerando che l’uso di metformina in gravidanza risulta in aumento e che la presenza di diabete pregestazionale raddoppia il rischio di anomalie congenite”.

Il diabete gestazionale
Questa patologia è un’intolleranza al glucosio legata alla gravidanza che generalmente regredisce dopo il parto, e che “in Europa ha una prevalenza del 7-8% delle gravidanze, percentuale in crescita a causa dell’aumento dell’età materna alla gestazione e del peso pre-gravidico”, avverte la ricercatrice del Cnr-Ifc. “In quanto al trattamento la prima cura resta la dieta e se questa non è sufficiente, bisogna far ricorso all’insulina. Nessun altro farmaco, compresa la metformina, ha come indicazione terapeutica il diabete gestazionale”. La metformina attraversa la placenta umana, esponendo il feto a concentrazioni prossime a quelle della circolazione materna.

Lo studio è stato realizzato nell’ambito di EUROmediCAT, consorzio di ricerca europeo dedicato al miglioramento della sicurezza dei farmaci in gravidanza, con lo scopo di costruire un network che valuti il profilo delle molecole in relazione al rischio di anomalie congenite all’interno di EUROCAT, la rete europea di registri per la sorveglianza delleanomalie congenite che copre oltre 1,5 milioni di nascite l’anno in 20 paesi d’Europa.

Riferimenti: Consiglio Nazionale delle Ricerche, The British Medical Journal

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