Effetto yo-yo, perché le diete a intermittenza fanno ingrassare?

(Foto via Pixabay)

Le diete ipocaloriche sono davvero utili per dimagrire? Alternando rigidi programmi dietetici a periodi in cui non si segue nessun regime alimentare in particolare, spesso invece si assiste a un aumento di peso. Un ciclo noto come effetto yo-yo. Una ricerca dell’Università di Exeter, pubblicata su Evolution, Medicine and Public Health, rivela che si tratta di un meccanismo messo in campo dal nostro corpo per difendersi. Da cosa?

I meccanismi che possono contribuire all’aumento di peso sono molti e diversi studi spesso tendono a cercare spiegazioni esclusivamente fisiologiche a questo fenomeno, come le variazioni nella produzione di ormoni regolatori. Higginson e il collega McNamara hanno però affrontato la questione con un approccio più olistico, partendo da una prospettiva evolutiva. L’accumulo di grassi infatti può essere spiegato come una scelta adattativa per avere a disposizione riserve di energia in caso di scarsità di cibo. “Le continue diete ingannano il cervello che le interpreta come brevi carestie spingendo l’organismo ad accumulare grassi per sostenere i periodi di magra” spiega Andrew Higginson, uno dei due ricercatori che hanno condotto lo studio.

L’essere umano, infatti, si è evoluto in un ambiente caratterizzato da fluttuazioni temporali nella disponibilità di cibo e i suoi sistemi, fisiologico e cognitivo, si sono adattati a queste condizioni, generando dei comportamenti che ai giorni nostri però possono determinare risposte disfunzionali, come l’aumento esagerato del peso.

Le diete determinano un accumulo di grassi perché generano una sorta di incomprensione a livello del sistema inconscio che controlla la massa corporea. Nella condizione di “appetito costante” del mondo sviluppato, in cui il cibo è sempre abbondante, a livello inconscio possiamo erroneamente interpretare il regime ipocalorico come un segnale ambientale di carestia e spingere quindi l’organismo verso la risposta che in un ambiente naturale sarebbe la più giusta: accumulare riserve di grasso.

I ricercatori sono arrivati a questa scoperta utilizzando un modello matematico di un animale, che sa se il cibo è abbondante o scarso ma non sa se e quando queste condizioni cambieranno.Quando le provviste sono scarse – come durante la dieta – l’animale aumenterà di peso nei periodi tra una carestia e l’altra. Questo accade perché l’animale si convince che il mondo è cattivo e che quindi bisogna avvantaggiarsi durante i periodi ricchi finché durano ” spiega Higginson.

I ricercatori hanno infatti osservato che la scarsità di risorse alternata a periodi di abbondanza determina, nel modello animale, una scelta di tipo preventivo: anche in condizioni ricche tenderà a nutrirsi di più perché, dopo diete ripetute, penserà che vi siano forti probabilità che si ripresenti un periodo di carestia.Questo semplice modello mostra che l’aumento di peso non è sempre legato a un malfunzionamento fisiologico o a una patologica dipendenza da sapori innaturalmente dolci, ma è l’incertezza sulla disponibilità di cibo che scatena questa risposta evolutiva” sottolinea McNamara.

Negli ultimi decenni si sta assistendo a un aumento consistente dell’obesità nelle popolazioni dei paesi sviluppati, un problema a cui sono correlate diverse patologie. Cercare di comprendere le ragioni evolutive alla base di comportamenti apparentemente disfunzionali, potrebbe aiutare a trovare soluzioni più efficienti.

Dobbiamo quindi considerare la dieta come una strategia fallimentare se si vuole perdere peso? No, ma l’approccio evolutivo, sottolineano i ricercatori, serve anche a ridare dignità alle norme del buon senso che, in un periodo come questo caratterizzato dalla continua nascita di nuove diete, sembravano essere state dimenticate.Il miglior modo per perdere peso è essere costanti. Mangiare sempre poco meno di quanto dovremmo e fare esercizio fisico aiuterà molto di più a mantenere un peso salutare, piuttosto che sottoporsi a diete ipocaloriche” concludono gli scienziati.

Riferimenti: Evolution, Medicine and Public Health

Alice Scuderi

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