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La dislessia non è solo un problema di lettura

(Foto via Pixabay)

La dislessia è un disturbo dell’apprendimento, con problemi soprattutto nelle capacità di lettura, di cui si conoscono gli effetti, ma poco le cause e i meccanismi che la caratterizzano nel suo complesso. Per esempio, soffrire di dislessia altera in qualche modo la percezione sensoriale? È quanto si è chiesto un team di neuroscienziati del MIT di Boston. A quanto pare, raccontano i ricercatori nello studio pubblicato su Neuron, sì:  le persone con dislessia in generale processano diversamente gli stimoli sensoriali che arrivano al cervello, mostrando una ridotta capacità di sfruttare questi stimoli per migliorare le loro prestazioni cognitive.

Solitamente il cervello si adatta rapidamente agli input sensoriali, come il suono della voce di una persona, l’immagine di un volto o di un oggetto, e lo fa per poter processare questi segnali in modo più efficiente. Nelle persone dislessiche però questa capacità è ridotta di quasi la metà, sostiene Tyler Perrachione, primo autore del lavoro. Una carenza questa che rende l’apprendimento ancor più difficile.

Lo scopo dei ricercatori era quello di approfondire la teoria secondo la quale le difficoltà nella lettura tipiche della dislessia provengano dall’incapacità di associare determinati suoni alle parole scritte. Per questo gli scienziati hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per osservare il cervello di adulti affetti e non da dislessia durante l’ascolto di voci.

È così emerso che chi non aveva dislessia si adattava rapidamente alle singole voci, ma non a quelle multiple: nel primo infatti caso si assisteva a una diminuzione dell’attività cerebrale. Le persone dislessiche invece mostravano un’attività intensa in entrambe le situazioni d’ascolto, indice, spiegano gli scienziati, di uno scarso adattamento. Dal momento che nella dislessia non sono mai state riscontrate difficoltà nella comprensione sonora, i ricercatori hanno deciso di effettuare altre prove, testando il processamento degli stimoli visivi: come nella situazione precedente, sono stati sottoposti a fMRI sia persone dislessiche e non impegnate nell’osservazione di immagini di parole scritte, volti e oggetti vari. Anche in questo caso le persone con il disturbo dell’apprendimento hanno mostrato un minor adattamento cerebrale alla vista di queste immagini. Ripetendo l’esperimento con bambini di età compresa fra i 6 e i 9 anni, affetti e non da dislessia, i risultati sono stati gli stessi. Un fenomeno riscontrato nelle regioni cerebrali responsabili del processamento dei diversi stimoli. “Il deficit nell’adattamento nei soggetti dislessici è un processo generale, che interessa l’intero cervello” sottolinea Perrachione.

Ma allora perché le persone dislessiche non mostrano alcuna difficoltà nel riconoscimento dei volti o nell’ascolto di conversazioni? L’ipotesi dei ricercatori prende in considerazione un possibile meccanismo compensativo del sistema nervoso: “Il cervello infatti dedica molti sistemi alla risoluzione di questi compiti sensoriali, e utilizza diverse strategie per farlo; l’adattamento è solo una delle tante” sottolineano i ricercatori.

Per la lettura è tutta un’altra questione però. Si tratta infatti di una competenza acquisita, un’invenzione culturale che deve utilizzare circuiti neuronali evolutisi per altri scopi. Sapere leggere richiede il lavoro simultaneo di diverse aree cerebrali e i deficit nell’adattamento mostrati dalle persone dislessiche, colpendo sia il processamento visivo che uditivo, possono rendere la lettura un compito davvero arduo. “Leggere significa vedere le lettere, riorganizzarle nelle parole, trasformarle in suoni e connetterle tramite la semantica, attività complicate in cui un sacco di cose possono andare storte” dice Perrachione. Ciò che non è ancora chiaro è come avvengano questi errori a causa dei deficit nell’adattamento neurale. La ricerca, pur mostrando che esistono differenze cerebrali fondamentali nella dislessia, non mostra ancora come collegarle alle proprietà specifiche della lettura, concludono gli esperti.

Riferimenti: Neuron

Alice Scuderi

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