Alla scoperta della legge di natura

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Lo sperimentiamo tutti i giorni: il mondo ha una faccia ordinata e regolare. Lo capiamo quando osserviamo il moto periodico degli astri o l’alternarsi delle stagioni. Formalizzare queste regolarità è il cuore della ricerca delle “leggi di natura”, cioè di quelle espressioni dove si condensa il massimo dell’informazione con il minimo di parole possibili. La cui scoperta, da quando è nata la scienza, è considerata il suo fine ultimo.

Ma su cosa sia davvero una legge di natura non c’è accordo. C’è chi pensa sia il tentativo umano di ordinare ciò che altrimenti sarebbe privo di significato, e chi invece sostiene che l’ordine della natura sia oggettivo e quindi del tutto indipendente dalla nostra osservazione. Una disputa che ha radici antiche e che si ripropone ancora oggi come irrisolta, nonostante i tentativi di scienziati ed epistemologi di trovare metafore esplicative. L’ultima in ordine di tempo è quella del software: se la natura è l’hardware allora le sue leggi sono il software, a partire dal quale il mondo calcola da un istante all’altro il suo stato successivo. Ma se il software di un computer è un insieme di istruzioni che si traducono in una serie di impulsi elettrici, che cosa è una legge di natura nell’ambito della filosofia della scienza? Ne abbiamo parlato con Mauro Dorato, professore associato di Filosofia della scienza all’Università Roma 3, di cui in questi giorni esce l’ultimo lavoro da Bruno Mondadori, “Il software dell’Universo”.

Professor Dorato, quanto è antico il concetto di legge di natura?

“La nascita del concetto di legge di natura avviene in epoca moderna, quando da normativa diventa descrittiva. Per Platone e Aristotele infatti si può parlare di legge soltanto nell’ambito civile, della ‘polis’. Gli astri non seguono leggi. Quindi il concetto di legge e quello di natura si escludono a vicenda. Anche i sofisti distinguevano fermamente fra ciò che è per natura e ciò che è per convenzione, fra ‘physis’ e ‘nomos’. Nel cristianesimo la legge di natura presuppone sempre la creazione divina. E’ a partire da Cartesio che il concetto inizia a cambiare: è vero che la volontà di Dio è indispensabile per creare il mondo, ma è poi la natura che si dispiega quasi autonomamente. Così i fenomeni si possono studiare prescindendo dal momento iniziale. A dare il colpo di grazia alla legge normativa è l’affermarsi dei modelli meccanicistici dell’Universo: la macchina che esegue dei movimenti non può essere considerata dotata di mente”.

Che cosa è oggi una legge di natura?

“Diverse sono le opinioni a riguardo e il dibattito è aperto. Si può far coincidere il concetto di legge di natura con quello di regolarità, assumendo così una posizione minimalista. Ancora più minimalista è chi nega in toto l’esistenza delle leggi perché non esisterebbe nell’ambito della scienza e della filosofia nessuna teoria che spieghi tutte le proprietà che praticamente gli scienziati attribuiscono alle leggi di natura. Una terza posizione è quella che considera la legge di natura una relazione fra universali, proprietà che tutti i sistemi fisici hanno in comune e che ci permettono di riconoscerli. Questa è una concezione platonica perché gli universali sono sconnessi dal tempo e dallo spazio”.

Qual è la sua posizione?

“La nozione di causalità – il ripetersi di relazioni – e quella di legge – che prova a quantificare su queste relazioni – sono talmente importanti nella nostra economia concettuale da potersi considerare primitive. Le leggi parlano delle proprietà causali dei corpi: quando affermiamo che in assenza di forze, un corpo tende a mantenere il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme (prima legge del moto), stiamo in realtà dicendo che tutti i corpi hanno una tendenza a resistere a un cambiamento di stato di moto. Questa proprietà, che si manifesta solo quando altri corpi interagiscono con quello di partenza, è quella che in filosofia si chiama disposizione, o proprietà di secondo ordine. Quindi le leggi hanno come oggetto fondamentale le proprietà dei corpi, sia quelle che si manifestano sempre – del primo ordine – come il peso, sia quelle del secondo ordine, disposizionali, che si manifestano solo in determinate condizioni. Il concetto di legge si applica così anche per descrivere il comportamento di una persona. Se dico di qualcuno che è irascibile, irritabile o gelosa, gli sto ascrivendo delle disposizioni: in circostanze appropriate cioè quella persona tenderà comportarsi in questo determinato modo”.

Ma allora ci sono leggi di natura anche nelle scienze economiche o umanistiche?

“Molti filosofi hanno sostenuto che sia proprio il concetto di legge lo spartiacque fra le scienze naturali e quelle sociali. Io invece provo a difendere l’idea che la legge funziona nello stesso modo sia in fisica che in economia. Nella misura in cui possiamo esprimerci con la matematica e possiamo attribuire ai corpi o alle entità di cui ci stiamo occupando delle disposizioni, delle proprietà causali del secondo ordine che tendono a manifestarsi in condizioni opportune, stiamo utilizzando lo stesso metodo. Comprendere infatti vuol dire sempre incanalare in uno schema generale, qualsiasi sia l’ambito di studi”.

La legge di natura è oggettiva, nel senso che descrive le strutture presenti nel mondo, oppure risponde al bisogno psicologico dell’essere umano di sistematizzare ciò che è disordinato?

“Le leggi sono essenzialmente relazioni che noi percepiamo con i sensi. In questo senso la concezione che sostengo è soggettiva anche se, allo stesso tempo, provo a difendere l’oggettività delle forme degli oggetti, quelle che poi codifichiamo nelle strutture geometriche. In altre parole, la legge è soggettiva perché è una costruzione umana che descrive però regolarità che esistono davvero”.

La metafora del software spiega tutto questo?

“No, non basta a spiegare tutto. Ma nell’idea di legge è comunque implicito il tentativo di ridurre quello che noi non riusciamo a capire a ciò che riusciamo a costruire. Era così già nell’antichità quando si usava l’immagine del mondo come un enorme animale, e poi nel Seicento quando l’Universo era raffigurato come un orologio. La metafora che oggi prevale è quella del software che, per quanto non sia in grado di spiegare tutto, è molto suggestiva. Il fatto che la metafora non funzioni vuol dire che non siamo ancora riusciti a costruire una macchina che simuli l’Universo, e che la scienza non è ancora finita”.

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