Dov’è finita l’acqua su Venere?

La Terra e Venere sono corpi celesti molto simili per dimensioni, composizione, massa e geometria dell’orbita intorno al Sole. Tuttavia il nostro pianeta ha sviluppato caratteristiche di superficie e un’atmosfera profondamente differenti, al punto che oggi la Terra è coperta per tre quarti da acqua allo stato liquido mentre Venere ne ha perso quasi ogni traccia, e la composizione della sua atmosfera è del tutto diversa da quella terrestre. Cos’è è intervenuto per produrre una differenziazione così netta? Uno studio pubblicato su Nature ha cercato di ricostruire le fasi iniziali della formazione dei due pianeti, quando questi erano ancora delle sfere di magma fuso, con l’intento di scoprire come e perché Venere e Terra si siano trasformati in gemelli così diversi.

Secondo i ricercatori guidati da Keiko Hamano dellUniversità di Tokyo, la Terra e Venere hanno preso due vie diverse durante il progressivo raffreddamento e la successiva solidificazione del materiale fuso che li componeva, circa 4,5 miliardi di anni fa. Nella fase in cui i pianeti erano ancora completamente liquidi, i gas atmosferici, acqua vaporizzata compresa, venivano coinvolti nei moti convettivi del magma. La presenza di oceani di roccia fusa avrebbe quindi fornito le condizioni necessarie alla scambio di gas, come il vapore acqueo, tra la primordiale atmosfera e l’interno del pianeta.

Anche ammettendo che gli ammassi di materia dal quale hanno avuto origine i due pianeti avessero avuto la stessa percentuale di acqua, è possibile che quella venusiana abbia avuto il destino segnato dall’inizio. Quando le rocce si solidificano, i gas contenuti, acqua compresa, vengono liberati. Sulla Terra questo sembra essere avvenuto in tempi relativamente rapidi, circa 4 milioni di anni, durante i quali l’atmosfera si è arricchita di vapore acqueo che, una volta raggiunta la saturazione, si è trasformato in pioggia andando ad accumularsi sulla Terra ormai formata e solida. Al contrario, sembra che il processo su Venere sia durato molto di più, circa 100 milioni di anni, a causa della maggiore vicinanza al Sole che ha mantenuto le rocce in fusione molto più a lungo. 

In questo periodo l’acqua è rimasta in sospensione nell’atmosfera di Venere esposta a raggi cosmici e radiazioni solari (nella banda dell’ultravioletto molto più intense rispetto a oggi) che hanno fatto dissociare le molecole d’acqua negli atomi che la compongono, idrogeno e ossigeno. L’idrogeno, molto leggero, si è diffuso di nuovo nello Spazio mentre l’ossigeno è stato massicciamente assorbito dal magma ricco di ferro formando ossido di ferro. Il fenomeno che si è manifestato su Venere prende il nome di “fuga idrodinamica” ed è stato osservato sperimentalmente nei pianeti extrasolari che sono già stati identificati.

Questa ricerca ha importanza nell’ambito dell’identificazione delle caratteristiche che un pianeta deve avere per poter ipotizzare la formazione di acqua liquida e potenziale sviluppo di forme di vita. Gli autori della ricerca hanno definito come “tipo I”, i pianeti dalle caratteristiche terrestri e hanno classificato come “tipo II” i pianeti che non incontrano i parametri di massa, distanza dalla propria stella e composizione tipici della Terra (guarda l’immagine su Flickr).

Sia l’Esa con la missione Darwin, che la Nasa con il Terrestrial Planet Finder stanno progettando strumenti in grado non solo di arricchire il catalogo dei pianeti extrasolari, ma anche di studiarne l’atmosfera e le caratteristiche, alla ricerca di condizioni compatibili con la vita. 

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature12163

Credits immagine:  Lunar and Planetary Institute via Nasa

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