Dr. Jekyll, scienziato vs. Mr. Hyde, giornalista

Gli scienziati rappresentano una specie biologica per alcuni aspetti paradossale. Prosperano in ambienti totalmente privi di luce naturale e ossigeno, come, per esempio, oscuri laboratori sotterranei, sale da conferenza e aule universitarie. A detta loro, hanno lo scopo di risolvere i misteri della vita, dell’universo e del Tutto, ma evitano con gran cura di affrontare un determinato problema, a meno di non aver dimostrato in anticipo che la sua soluzione pone problemi ancor più complessi, in grado di mantenerli occupati anche in futuro.

Passano gran parte del loro tempo a redigere “pubblicazioni” che nessuno ha voglia, ne è in grado, di leggere. Alcune delle riviste specializzate a cui questi lavori sono destinati hanno di fatto cominciato ad addebitare agli autori parte dei costi di pubblicazione, ribaltando le normali leggi di mercato. In altre parole, gli scienziati sembrano profondamente convinti dell’importanza e dell’interesse del loro operato, pur rifiutando di dimostrarlo in alcun modo ai poveri mortali che non fanno parte del loro ambiente.

La specie degli scienziati tende inoltre a lasciare la nicchia della comunicazione della scienza a un’altra specie, considerata come parassita, nota come quella dei giornalisti scientifici. Questi ultimi, anche se con una formazione scientifica alle spalle, non vengono considerati veri e propri scienziati, e perciò non sono in grado di apprezzare nella giusta misura il merito di uno scienziato (la “revisione fra pari” dopotutto è l’unica forma di critica che gli scienziati accettano).Inoltre, i giornalisti tendono a scegliere argomenti alla moda e a ignorare i temi che hanno un’importanza fondamentale per la scienza di base. E, ancora peggio, utilizzando il linguaggio comune invece del codice stabilito per ogni particolare disciplina, tendono a degradare le divine sfere della scienza.

Considerando l’ecologia e la fisiologia delle due specie è altamente improbabile che si possa avere un’ibridazione, anche se in alcuni casi si osserva un’alternanza temporale fra le due forme di vita. Dei rispettabili Enrico o Enrichetta Jekyll, di professione ricercatori, abituati a trascorrere i momenti migliori della loro vita diurna rinchiusi in laboratori, biblioteche, o sale da conferenza, possono trasformarsi di notte in Edoardo o Edda Hyde, sanguisughe-divulgatori di scienza, intenti a scribbacchiare articoli che chiunque potrebbe leggere con piacere e interesse sul suo giornale preferito.

Ben lungi dall’essere bollati come mostri perversi -quali appaiono agli occhi dei colleghi di Jekyll – questi Hyde acquistano credito nel mondo dei media perché possono rispondere a quesiti non del tutto scientifici su Dio, le nostre origini o il nostro futuro, con gran sgomento degli scienziati puri che non possono sperare in alcuna forma di considerazione da parte dell’opinione pubblica prima di aver vinto il loro primo premio Nobel. E quando gli Hyde verranno accusati di svolgere le “attività non scientifiche” proprie dei giornalisti che si occupano di scienza, vedranno solo aggravare la propria situazione dalla buona coscienza della loro parte migliore, i Jekyll, che potrebbero trovarsi espulsi dalla comunità scientifica a cui appartengono.

Una segregazione di specie “sociale”

Così gli scienziati puri -leggi: gli scienziati che non amano divulgare la propria opera, convinti che il loro lavoro risulti svilito se presentato al pubblico (posso arrivare ad ampliare la mia metafora letteraria e chiamarli dei “Frankestein”?) dovrebbero prendere seriamente in considerazione la strategia improntata sulla celebre massima: “se non riesci a sconfiggere il tuo nemico, unisciti a lui”. Non vi è alcuna legge naturale che escluda la sovrapposizione delle occupazioni a cui normalmente le due specie si dedicano a tempo pieno, e la sopra citata segregazione di specie probabilmente è il prodotto di pressioni di ordine sociale piuttosto che di necessità biologica.

Come qualcuno ha già fatto notare, gran parte della formazione dei giovani scienziati consiste nell’imparare a scrivere in una prosa incomprensibile. D’altro canto anche i giornalisti che si occupano di scienza non vengono certo incoraggiati ad avventurarsi nei laboratori. L’abisso che separa questi due mondi potrebbe quindi essere facilmente colmato da “ibridi” il cui ciclo di vita naturale dovrebbe alternare periodi di acquisizione a periodi di comunicazione del sapere scientifico.

Laboratori di ibridi

Se un maggior numero di scienziati si prestasse a questo tipo di ibridazione, molti difetti dell’attuale sistema potrebbero venire attenuati, inclusa la valanga di (noiosi) articoli scientifici di cui loro stessi, i produttori, sono per primi così pronti a lamentarsi.
Se esperti provenienti dal mondo accademico scrivessero resoconti dei progressi in campo scientifico leggibili e completi, e li destinassero anche ai media, le sedute dedicate esclusivamente alla consultazione delle riviste specializzate potrebbero essere sostituite da una piacevole lettura del quotidiano al mattino.

Molti problemi complessi potrebbero essere risolti più velocemente grazie a una maggiore comunicazione interdisciplinare, dove per interdisciplinare si intende un travaso fra discipline come la genetica e la linguistica e non fra la chimica fisico-organica e la chimica organico-sintetica.

Per tutti quelli scienziati che in questi tempi temono per il proprio posto di lavoro, oso predire che i problemi non sono finiti qui, e che altri se ne prospettano per il futuro. E che molte torri d’avorio si sgretoleranno, lasciando i loro abitanti senza protezione, cosa che faciliterà uno scambio aperto e fruttuoso delle idee della scienza.

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