Categorie: Società

Due fisici al prezzo di uno

Tra la carriera e la famiglia vorrebbero scegliere entrambe, ma spesso la prima rimane solo un sogno. E’ questo il destino delle donne impegnate nella ricerca scientifica, almeno secondo un sondaggio pubblicato su Physics Today (http://www.physics.wm.edu/dualcareer.html) e condotto nel gennaio 1998, dall’American Physical Society (Aps). Dal 1966 ad oggi, il numero delle donne laureate in fisica è aumentato dal 2% al 13%, ma per loro trovare un impiego è diventato un dramma, soprattutto quando sono sposate con un fisico. Visto infatti lo scarso numero di posti qualificati a disposizione, non sempre è possibile che moglie e marito vengano impiegati nella stessa struttura. Più spesso invece è il “leading partner”, ossia quello professionalmente più quotato, ad ottenere il posto migliore, mentre l’altro deve accontentarsi di lavori di secondo ordine, se non fare i conti con la disoccupazione. A pagarne il prezzo sono principalmente le donne, che finiscono con l’abbandonare la carriera in favore della famiglia. Quando si tratta di assegnare un posto a uno dei due partner, infatti, nel 40% dei casi è l’uomo ad essere privilegiato.

“Quando io e mio marito ci presentammo per un posto al dipartimento di fisica, solo lui venne messo in lista”, commenta una delle donne intervistate. “Tutte le volte che mi sono presentata a un colloquio di lavoro mi chiedevano sempre se avrei accettato il posto anche se mio marito non fosse stato assunto. A lui non l’hanno mai chiesto”, aggiunge un’altra donna. “Davano per scontato che non avrei accettato il lavoro se anche mio marito non fosse venuto con me. Per questo la mia richiesta non veniva mai presa in considerazione”.

Queste, dunque, alcune delle dichiarazioni raccolte attraverso il sondaggio e-mail dell’American Physical Society, inviato a 632 persone laureate in fisica, di cui il 57% donne e il 43% uomini. L’età media del campione è di 37 anni per le donne e 40 anni per gli uomini, ma le risposte sono abbastanza univoche: gli uomini si dicono maggiormente soddisfatti delle donne. Nella maggior parte delle coppie (il 60%) almeno uno dei due partner si è dovuto accontentare di un impiego di scarso valore, mentre alcuni sono rimasti disoccupati. “Durante un colloquio di lavoro, mi dissero che non mi sarebbe stato difficile trovare un posto qualsiasi per restare accanto a mio marito, magari anche come stenografa”, afferma una laureata in fisica.

Non sono molte le istituzioni che si dimostrano sensibili al problema del doppio impiego. Pochissime danno un vantaggio occupazionale alle coppie, mentre la maggior parte si rifiuta di considerare l’eventualità della doppia occupazione. “Mio marito aveva già un ottimo posto all’università – rivela una delle intervistate – così ogni volta che mi presentavo per un impiego, mi veniva rifiutato con la seguente motivazione: “dopotutto suo marito ha già un buon posto, a cosa le serve lavorare?”.

Un’altra denuncia: “Spesso mi hanno offerto di lavorare come volontaria, gratis, visto che lo stipendio di mio marito era già sufficiente a mantenermi”. Per non parlare poi di autentiche scottature: “Un professore suggerì a mio marito di risolvere il problema del doppio impiego con il divorzio”.

La soluzione più spesso adottata è quella dell’impiego a metà, ossia marito e moglie lavorano part-time nella stessa struttura e possono contare sulle stesse possibilità di carriera. L’unico inconveniente è che i loro stipendi non raggiungono lo standard di un salario full-time di buon livello. Si tratta dunque di un pacchetto promozionale di “due al prezzo di uno”. Ad adottare questo sistema sono state, tra le prime, la University of Wisconsin, la University of California, la Purdue University e la University of Illinois.

Un’altra possibilità è costituita dagli impieghi a breve termine (massimo due o tre anni) con qualifica di post-dottorato, offerti al partner svantaggiato, che tuttavia può contare solo su uno stipendio molto basso e su pochissime possibilità di carriera. Il partner diventa così una sorta di “cittadino di seconda classe”, che vive all’ombra del coniuge più fortunato. “E’ raro trovare dei colleghi che mi considerino come fisico anziché come moglie, e che non si mettano a discutere della mia situazione familiare”, afferma una ricercatrice. Ma a qualcuno è andata meglio: “Questo è il primo impiego in cui mia moglie viene trattata con rispetto e non come un caso caritatevole”.

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