Due soli per un pianeta

Nel suo cielo brillano due soli gialli, dai nomi poco familiari di HD219542A e HD219542B, stelle della costellazione dei Pesci che illuminano le sue calde giornate. Stiamo parlando del primo pianeta extrasolare a essere stato scoperto da un gruppo italiano di astronomi degli osservatori di Padova e Catania. Il nuovo corpo celeste orbita intorno alla stella HD219542B in 111 giorni e ha una massa 80 volte quella della Terra. Si tratta probabilmente di un pianeta gassoso, un gigante confrontabile con Saturno, ed è uno dei pochissimi scoperti intorno a una stella doppia. Per osservarlo gli astronomi italiani hanno utilizzato il Telescopio Nazionale Galileo, situato sulla montagna di Roque de los Muchachos alle isole Canarie. Grazie all’alta risoluzione dello spettrografo Sarg applicato al telescopio, gli astronomi hanno potuto registrare piccole oscillazioni nella velocità della stella HD219542B, che appare muoversi a tratti in avvicinamento, a tratti in allontanamento. E’ il segno della presenza di un corpo massiccio che ne perturba il moto in maniera periodica. Un pianeta, appunto. Si tratta di un effetto molto piccolo, una variazione della velocità di 20 metri al secondo, ai limiti della sensibilità degli strumenti. Questa tecnica, detta “della velocità radiale”, è stata usata per scoprire tutti i pianeti extrasolari noti finora, 102 per la precisione compreso quello italiano.La sua scoperta rappresenta l’ingresso del nostro Paese in un importante settore della ricerca astrofisica, quello dei sistemi planetari e della vita all’esterno del nostro sistema solare. Il gruppo italiano, coordinato da Raffaele Gratton dell’Osservatorio astronomico di Padova, sta infatti tenendo sotto osservazione un centinaio di altre stelle alla ricerca delle piccole inconfondibili oscillazioni che rivelino che non sono sole. “Ma è la ricerca della vita nello spazio il grande motivo d’interesse di queste ricerche, anche se sono ricche di ricadute tecnologiche. Ed è anche l’aspetto che mi piace di più”, confida Gratton.Il percorso verso la scoperta della vita extraterrestre è però ancora lungo. “Bisogna compiere una serie di passi”, continua Gratton. “Il primo è scoprire con quale frequenza si trovano sistemi planetari intorno alle stelle e determinarne le caratteristiche. In altre parole, ci si chiede: il nostro sistema solare è un caso eccezionale? Sulla risposta può pesare un effetto di selezione dovuto alle tecniche usate, che favorisce la scoperta di sistemi con pianeti giganti sulle orbite interne, ossia nella regione che nel nostro sistema solare è occupata dalla Terra e dai pianeti più vicini al Sole”. La tecnica della velocità radiale sarà affiancata nei prossimi anni dall’astrometria, che va alla ricerca di pianeti osservando l’impercettibile andamento a zig-zag che essi inducono sul moto delle loro stelle in cielo. I primi risultati delle osservazioni astrometriche vengono dal telescopio spaziale Hubble, che proprio in questi giorni ha misurato le minuscole oscillazioni della stella Gliese 876, causate da un pianeta di massa compresa tra 1,89 e 2,4 volte la massa di Giove. “Il passo successivo”, riprende Gratton, “sarà vedere direttamente i pianeti, cosa che consentirebbe una loro caratterizzazione fisica in termini di composizione dell’atmosfera, temperatura, e quindi abitabilità. Il problema principale è ottenere immagini ben contrastate della loro debole luce, tanto da riuscire non solo a staccarli dall’alone brillante della stella ma anche ad analizzarne lo spettro. Buoni candidati in questo senso sono i pianeti delle stelle 55 Cancri ed Epsilon Eridani, osservabili forse entro 5-10 anni. Infine, la ricerca di pianeti di tipo terrestre sarà possibile solo dallo spazio, con tecniche di interferometria che prevedono la correlazione delle osservazioni di una rete di telescopi orbitanti, come il Terrestrial Planet Finder della Nasa e la missione Darwin dell’Esa attualmente in progettazione. Il problema è oscurare la luce delle stelle. Si stanno sviluppando delle tecniche che però sono ancora da verificare”.Una volta individuati dei pianeti simili alla Terra, come si potranno rivelare eventuali tracce di vita? “Si pensa di ricorrere a due tecniche spettroscopiche: cercare le bande di assorbimento dell’ozono atmosferico nell’infrarosso e quelle della clorofilla nel visibile”, conclude Gratton. “L’ozono è un composto dell’ossigeno, che può essere prodotto in grande quantità solo da forme viventi come vegetali o batteri. Trovare ozono nello spettro di un pianeta significa dimostrare che vi è presente la vita”. Questo però è un progetto a lunga scadenza: osservazioni così sofisticate richiederanno un potente telescopio da 30 metri operante nello spazio, che sarà pronto solo verso il 2030. Insomma, per cercare la vita nell’Universo occorre restare coi piedi per terra.

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