Ecco i primi segni di vita dell’Universo

“È una scoperta assolutamente degna di premio Nobel”. Alan Guth, fisico teorico del Massachusetts Institute of Technology, non usa mezze parole. Qualcosa di ancora più elusivo e sfuggente, se possibile, del maledetto bosone di Higgs, che ha tenuto in scacco gli scienziati per oltre sessant’anni. In quel caso, si cercava nell’infinitamente piccolo. In questo nell’infinitamente lontano, nello spazio e nel tempo: i ricercatori dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics affermano di essere riusciti a rivelare i primi segnali di vita dell’Universo immediatamente dopo il Big Bang. Più o meno 13,8 miliardi di anni fa. In particolare, i ricercatori, usando un radiotelescopio al Polo Sud, hanno individuato la prima prova sperimentale dell’esistenza di onde gravitazionali primordiali generatesi durante la grande esplosione. È una scoperta particolarmente importante per la cosmologia, perché conferma la teoria dell’inflazione, ossia un’espansione accelerata dell’Universo, proposta dallo stesso Guth nel 1980. Ma non solo: il fatto l’inflazione, un fenomeno squisitamente quantistico, abbia prodotto onde gravitazionali dimostra che la gravità ha anch’essa natura quantistica, proprio come le altre quattro forze fondamentali della natura. E ancora: le osservazioni effettuate in una finestra temporale così breve – parliamo di poche decine di bilionesimi di bilionesimi di bilionesimi di secondo dopo il Big Bang – permetteranno agli scienziati di studiare cosa avviene a scale energetiche elevatissime, molto più alte di quelle raggiungibili sulla Terra. Svariati miliardi più di Lhc, tanto per intenderci.

Il telescopio, racconta Ron Cowen su Nature, ha catturato una fotografia delle onde gravitazionali che si propagavano nell’Universo circa 380mila anni dopo il Big Bang, quando non si erano ancora formate le stelle. Le onde sono state individuate nella radiazione cosmica di fondo (Cmb, acronimo di cosmic microwave background), la luce che si irradiava dal plasma incandescente e che nel corso di miliardi di anni di espansione cosmica si è raffreddata fino a energie dell’ordine delle microonde. Secondo la teoria dell’inflazione di Guth, tutta la materia attualmente presente nel cosmo si sarebbe espansa in un’infinitesima frazione temporale dopo il Big Bang, passando da dimensioni subatomiche a quelle di un pallone da calcio. Se il modello fosse corretto, la radiazione cosmica di fondo dovrebbe portare con sé le impronte delle onde gravitazionali frutto della violenta e rapida espansione, che comprimono lo spazio in una direzione e lo dilatano nell’altra. Sebbene oggi, quindici miliardi di anni dopo, tali onde siano troppo deboli per essere osservate direttamente, dovrebbe essere possibile notare i loro effetti sulla Cmb in termini di polarizzazione (la radiazione cosmica di fondo, in altre parole, dovrebbe essere in qualche modo distorta a effetto delle onde gravitazionali).

John Kovac e colleghi, usando uno strumento chiamato Bicep2, hanno osservato esattamente quest’effetto: gli scienziati hanno misurato con estrema precisione (un decimilionesimo di Kelvin) la radiazione cosmica di fondo, notando una polarizzazione a vortice, in un particolare pattern noto come nodo B. Che, secondo la teoria, è il segno inconfondibile della presenza di onde gravitazionali. I ricercatori hanno vagliato accuratamente i dati per scongiurare che l’effetto osservato fosse dovuto ad altre sorgenti, come per esempio la polvere galattica: paragonando i segnali con quelli raccolti da un esperimento precedente, Bicep1, hanno scartato l’ipotesi, dal momento che questi ultimi avevano spettro e colore diversi.

La scoperta, auspicabilmente, aiuterà gli scienziati nell’ardua impresa di conciliare meccanica quantistica e relatività generale, le due grandi teorie della fisica ancora non inserite in uno scenario comune e coerente. Ma prima, ricordano gli scienziati, sarà necessario ottenere mappe più estensive della polarizzazione della Cmb, possibilmente riferite all’intera volta celeste.

Credits immagine: Nature Video

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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  • Chi pensa, non crede e chi crede non pensa. Questi "scienziati" credono nel "big bang" un credo basato su una discutibilissima supposizione. Con la loro assurda fede nella creazione del evento divino, ho scoperto, che sono ciechi e sordi a delle idee diverse. Sono degli integralisti anti scientifici e cercano conferme ad ogni costo. Questo, In inglese si chiama: " wishful thinking "

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