Ambiente

Quanto vale il business degli escrementi

(Credit: SuSanA Secretariat)

Pecunia non olet”: il denaro non puzza. La tradizione vuole che l’imperatore Vespasiano abbia così risposto al figlio Tito, disgustato dalla nuova (e remunerativa) tassa sulla compravendita di urina introdotta dal padre. Per gli antichi romani la raccolta e lo smaltimento delle deiezioni umane era un business: l’urina proveniente dalle latrine private veniva infatti rivenduta e utilizzata da conciatori e da lavandai, alimentando un volume d’affari tale da attirare l’attenzione degli esattori imperiali.

Oggi l’idea di poter trasformare in un affare proficuo il trattamento dei reflui umani è rilanciata da iniziative e imprenditori in tutto il mondo. Il potenziale è enorme: il solo biogas prodotto dallo smaltimento degli escrementi umani nel mondo potrebbe generare energia sufficiente a mantenere fino a 138 milioni di famiglie secondo un report del 2016 dell’Istituto per l’Acqua, l’Ambiente e la Salute delle Nazioni Unite (UNU-INWEH), per un valore di 9,5 miliardi di dollari.

La sfida è particolarmente significativa per i paesi in via di sviluppo, spesso dotati di impianti fognari scarsi o addirittura inesistenti, in cui il problema è anche di natura sanitaria. Secondo stime dell’UNICEF e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità quasi 2,4 miliardi di persone nel 2015 non avevano a disposizione servizi igienici e circa 1 miliardo di persone defecavano all’aperto. I reflui vengono riversati nell’ambiente inquinando i terreni e le acque e favorendo la diffusione di malattie come diarrea, colera, febbre tifoidea e epatite A.

Eppure feci e urina umane possono diventare risorse inaspettate. A Kigali in Ruanda, come descritto in un articolo di Nature, impianti di trattamento dei reflui umani producono carburante in polvere per le fornaci delle vicine aziende di cemento e mattoni, allo stesso tempo alleviando la dipendenza della capitale da latrine e pozzi perdenti.

La fondazione Bill & Melinda Gates, che sponsorizzata dal celebre miliardario supporta la ricerca e costruzione di impianti di depurazione economici e sostenibili, ha finanziato un progetto pilota a Dakar, in Senegal, che da un paio di anni trasforma gli escrementi di 50.000-100.000 persone in acqua potabile, generando anche l’energia necessaria al suo stesso funzionamento.

Nel Regno Unito circolano autobus alimentati con il biogas prodotto dagli impianti di trattamento delle acque nere, mentre sono già in commercio da anni mattoni e prodotti cementizi costituiti proprio dai fanghi residui che rimangono al termine del processo di purificazione.

Applicazioni più comuni dei reflui umani sono il compostaggio, lo spargimento in terreni agricoli (in particolare dell’urina, un buon fertilizzante) e la combustione in impianti di termovalorizzazione.

La ricerca verso nuove potenziali applicazioni è continua. L’American Chemical Society sta sperimentando dei bioreattori per convertire l’urina in nutrienti utili e perfino plastica, allo scopo di ottimizzare il riciclo di ogni sostanza in ambienti isolati per lunghi periodi di tempo, come ad esempio le missioni spaziali. Non sarebbe la prima volta che la ricerca spaziale porta alla creazione di nuove tecnologie in seguito applicate anche alla vita di tutti i giorni. Gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale già dal 2009 utilizzano sistemi di purificazione che permettono di recuperare l’acqua delle loro urine, in modo da minimizzare gli sprechi.

L’Italia è dotata di un sistema di raccolta e trattamento delle acque reflue sufficiente, ma ci sono ancora ampli margini di miglioramento, tanto che l’Unione Europea ha più di una procedura di infrazione aperta nei confronti del nostro paese proprio per la condizione e la gestione di diversi impianti fognari. La maggior parte delle acque viene convogliata dagli impianti fognari ai depuratori, dove viene separata e purificata da fanghi e residui organici ed eventualmente reimmessa nei corsi d’acqua. I fanghi sono principalmente destinati al compostaggio, all’utilizzo in agricoltura e alla combustione ma una buona parte, il 42% secondo Eurostat, viene ancora lasciata inutilizzata e smaltita in discarica.

Valerio Doppio

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