Effetto Shakespeare

Che leggere Shakespeare fosse un’attività cerebrale stimolante era ben noto. Ora i ricercatori dell’Università di Liverpool, in Gran Bretagna, ne spiegano le ragioni neurofisiologiche. Secondo lo studio, realizzato grazie alla collaborazione di linguisti ed esperti di risonanza magnetica, lo peculiarità dello scrittore inglese è quella di usare un linguaggio che stimola positivamente il nostro cervello, creando un forte senso di drammaticità.

Le tecniche retoriche contenute nei suoi drammi e nelle sue poesie accrescerebbero l’attenzione nei lettori, causando picchi improvvisi nell’attività cerebrale. L’effetto è stato rilevato dalle immagini di risonanza magnetica su 20 volontari immersi nella lettura di brani di Shakespeare. Il test ha dato un risultato simile a quello che si otterrebbe in una persona impegnata a ricostruire un puzzle: come i diversi tasselli prendono improvvisamente forma nell’insieme del quadro, così i termini apparentemente strani all’interno delle frasi sorprenderebbero il cervello. Che poi reagisce con picchi improvvisi di attività.

Il drammaturgo inglese era un maestro nell’uso di un espediente linguistico noto come spostamento funzionale, come l’uso di verbi ricavati da nomi. In questo modo, anziché esserne confuso, il cervello umano comprendere il significato di una parola prima ancora di capirne la funzione all’interno della frase, lavorando per così dire all’indietro. Secondo gli esperti sarebbe proprio l’uso di questi geniali trucchi linguistici a rendere così immediate e coinvolgenti le opere del grande autore. (m.cap.)

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