Elettrosmog, un progetto per capire

Schermi per computer, telefoni cellulari, antenne radiotelevisive. E ancora. Apparati per telecomunicazione, linee elettriche e cablaggi per la fornitura di corrente. A un secolo di distanza dall’invenzione della radio le polemiche sui campi elettromagnetici impazzano. Al punto che, in mancanza di dati scientifici certi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sentito l’esigenza di diffondere linee guida sull’esposizione ai campi elettromagnetici, invitando tutti i paesi a rispettare il principio cautelativo in difesa della salute pubblica. Da questa situazione di incertezza nasce la collaborazione tra Enea e Cnr per il progetto “Salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente dalle emissioni elettromagnetiche”, che conta entro il 2003 di colmare le lacune della conoscenza scientifica in materia e di disegnare la mappa italiana dell’elettrosmog. Galileo ha intervistato Paolo Bernardi, professore di Microonde all’Università la Sapienza di Roma e membro del Comitato di gestione del progetto.

Professor Bernardi, quali sono i punti chiave del progetto?

“Lo studio si divide in quattro linee principali: previsione dell’impatto ambientale dei futuri sistemi elettromagnetici, misura dell’impatto effettivo a installazione degli apparati avvenuta, interazione biologica tra telefono cellulare e utente, tecniche di riduzione dell’impatto ambientale. In particolare: la prima linea studia i livelli di campo elettromagnetico prodotti dalle varie sorgenti – dalle linee elettriche ai sistemi radar, alla telefonia cellulare – e le rispettive caratteristiche di emissione. Lo scopo è quello di realizzare uno strumento che faccia previsioni sul campo. La seconda linea di ricerca, invece, si occupa di verificare le previsioni risultanti dalla prima. Una volta che le sorgenti saranno installate, andremo a misurare l’effettivo impatto delle onde elettromagnetiche sull’ambiente. Con una novità. Accanto al tradizionale sistema di monitoraggio, vogliamo realizzare una rete di stazioni mobili, collegate a un’unità centrale, che consenta il controllo del territorio in tempo reale”.

A che cosa servirà questa rete?

“Ci dirà istante per istante qual è la situazione del campo elettromagnetico vicino alle sorgenti. La terza linea entra più nel particolare e studia i meccanismi di interazione biologica tra il telefonino e l’utente. Condurremo esperimenti su cavie e in vitro per scoprire quali sono gli effetti dei campi elettromagnetici sul nostro organismo, sia a livello cellulare e molecolare che sul Dna. Infine l’obiettivo della quarta linea sarà quello di progettare tecniche di controllo, protezione e risanamento ambientale. Tra queste lo studio di nuovi materiali per schermature, la messa a punto di tecniche di emissione con basso impatto ambientale – le cosiddette antenne intelligenti – e procedure di risanamento delle aree sottoposte a campi forti”.

Lo studio si uniforma a degli standard europei?

“Decisamente sì. Si inserisce infatti nel filone della ricerca internazionale sugli effetti dei campi elettromagnetici predisposto dall’Oms. In particolare, lo studio dell’interazione tra il telefono cellulare e il cervello umano segue il VI e il V programma quadro della Comunità Europea”.

Quali sono le novità?

“Le nuove tecnologie della telefonia mobile hanno moltiplicato le antenne nei centri abitati. Per questo, verifichiamo gli effetti delle sorgenti elettromagnetiche che si trovano in territori complessi come appunto quelli urbani, oppure interni a un aeroporto. Inoltre studiamo l’interazione tra le emissioni del cellulare e la testa dell’utente, materia ancora sconosciuta per la ricerca scientifica. Un’altra novità è rappresentata dalla creazione di una rete di monitoraggio su tutto il territorio nazionale”.

Quali sono le leggi che l’Italia adotta per la protezione dai campi elettromagnetici?

“L’Italia segue le norme più restrittive di tutta l’Unione Europea. Quelle più garantiste, che adottano i valori più bassi tra quelli indicati dalle varie nazioni e dagli organismi internazionali. Il nostro paese ha scelto inoltre di seguire il principio di precauzione che l’Oms suggerisce di applicare in circostanze caratterizzate da forte incertezza scientifica. Questo principio permette alle istituzioni di intervenire nei confronti di un rischio potenzialmente grave senza attendere i risultati della ricerca scientifica. I limiti vengono rispettati nella maggior parte delle località italiane. Negli altri paesi, come per esempio l’Inghilterra e la Germania, i livelli di tollerabilità adottati sono più alti. Di conseguenza le stazioni radio base sono più potenti, e i livelli di inquinamento elettromagnetico più elevati”.

Nel caso dei telefoni cellulari, esistono normative particolari che fissano il limite massimo di emissione di onde elettromagnetiche?

“Non secondo la legge italiana. Attualmente seguiamo le norme europee, che conformano il cellulare alle altre sorgenti elettromagnetiche in materia di protezione. Mi preme sottolineare però che è sbagliato confrontare le emissioni dei telefoni cellulari con i parametri atmosferici esterni, espressi in volt al metro. Bisogna infatti fare riferimento ai livelli di assorbimento delle onde elettromagnetiche da parte del cervello e non dell’ambiente circostante. E’ dunque sbagliato affermare che i cellulari superano i livelli di campo ammissibili dalle norme. A questo proposito, sta per uscire uno standard sui nuovi cellulari: gli apparecchi dovranno portare il marchio di conformità alle norme di protezione europee. Ogni telefonino dovrà indicare il grado di inquinamento elettromagnetico che produce al momento dell’uso”.

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