Emoji, quanto le capiamo davvero?

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(Foto: Denis Cherkashin su Unsplash)

Prendete fotografie di persone tristi, arrabbiate, impaurite, disgustate, felici, sorprese. Prendete poi le emoji i solito usate per le stesse emozioni. A questo punto prendete dei volontari, mostrate loro su uno schermo le parole collegate a delle emozioni – come paura o felicità – seguite subito dopo dall’immagine di facce reali o di emoji. È questa – in estrema sintesi – quello che hanno fatto Linda Dalle Nogare e Alice Mado Proverbio del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca di Milano, chiedendo ai volontari di dire se facce o faccine fossero in linea con le emozioni via via scritte sullo schermo (mentre con alcuni elettrodi misuravano l’attività del loro cervello).

Hanno così scoperto che siamo più abili a riconoscere le emozioni dalle faccine che dalle facce, anche se il nostro cervello non le vede come e veri e propri volti, e forse proprio per questo. Un volto è un insieme più complesso di dati che usiamo non solo per capire come sta l’altro ma anche tutta una serie di informazioni che con le emozioni non hanno nulla a che fare. A raccontarci tutto questo è una delle autrici del lavoro, pubblicato su Social Neuroscience, Alice Mado Proverbio, professoressa di Neuroscienze cognitive all’Università di Milano-Bicocca e responsabile del laboratorio di Elettrofisiologia cognitiva, che da tempo insieme ai colleghi si occupa del tema.

Emoji vs facce reali

“In un mondo sempre più dominato dalla messaggistica e dalla comunicazione digitale, desideravamo esplorare i meccanismi neurali attraverso cui il cervello comprende e interpreta i segnali emotivi trasmessi dalle cosiddette ‘faccine’, per valutarne la precisione, l’efficacia e la rapidità”, spiega Proverbio, perché poco è noto in materia. Al contrario molto si sa sul come e perché il nostro cervello vede un volto vero: “Siamo dotati di un ‘cervello sociale’ i cui neuroni rispondono in modo innato alle facce e riconoscono in modo relativamente automatico il significato delle espressioni emotive. Queste strutture sono l’area occipitale per le facce (OFA), l’area fusiforme per le facce (FFA), il solco temporale superiore (STS) per la mimica e la voce, l’amigdala e il sistema limbico per le emozioni. Grazie all’esistenza di questo meccanismo sappiamo in un decimo di secondo se la persona di fronte a noi è arrabbiata o triste”.

E per le emoji, siamo lo stesso così veloci? Anche se sono schematiche, sono disgiunte da voce e gestualità? Come le vede il nostro cervello? Quanto riescono nell’intento di trasmettere il tono del messaggio? Perché se da una parte è chiaro che hanno orami conquistato la comunicazione – al punto da essere approssimati in casi limiti a delle firme, come dimostra il curioso caso dell’agricoltore canadese – come vengano interpretate dal punto di vista neurologico lo è meno.

Faccina vs faccia

Per capirlo, come accennato, le ricercatrici hanno osservato la capacità di alcuni volontari di identificare le emozioni provenienti da immagini di volti reali o faccine con diverse espressioni, registrando i segnali elettrici in risposta a vari stimoli. “I risultati hanno mostrato tempi di risposta più rapidi per gli stimoli congruenti (ovvero in cui la parola rispecchiasse l’emozione di facce o emoji mostrate subito dopo, nda) rispetto a quelli incongruenti rispetto alle parole, per tutte le emozioni, dimostrando così la loro effettiva comprensione. Tuttavia le emoji venivano riconosciute almeno 70 millisecondi prima delle espressioni facciali”, riprende la ricercatrice.

Le caratteristiche elettriche registrate, inoltre, facevano dedurre che fosse più semplice capire una faccina che un volto, al punto che il numero di risposte corrette era più elevato per le emoji che per i volti umani: 92,7% contro 82,4%, riassume Proverbio: “In altre parole le persone riconoscevano con maggiore precisione e chiarezza le emozioni trasmesse dalle faccine piuttosto che dai volti reali“.

Non tutte le emozioni sono uguali

Ci si potrebbe chiedere perché sia più facile leggere (emotivamente) un’emoji che un volto. La risposta che le due ricercatrici danno nel paper è questa: “Le faccine, per la loro natura schematica, possano essere più facili da riconoscere rispetto ai volti, soprattutto per le emozioni negative come la paura, la rabbia, o il disgusto”.

Una emoji – a prescindere dalla piattaforma digitale utilizzata – è in genere infatti abbastanza minimal: le uniche variabili sono nella posizione della bocca, delle sopracciglia, degli occhi, nel colore delle guance. Le facce vere, a contrario, parlano di più: “Le facce trasmettono un numero molto maggiore di informazioni morfologiche complesse, attraverso un grande numero di dettagli che sono irrilevanti per il riconoscimento dello stato d’animo delle persone, ma utilizzati per riconoscerne l’identità, l’età, il sesso, l’etnia, come la grossezza e forma del naso, la presenza di rughe, il tipo di incarnato, la distanza, la forma ed il colore degli occhi, la sottigliezza delle labbra”, ricorda Proverbio. Al tempo stesso, così come le faccine sono più immediate dei volti, alcune emozioni lo sono più di altre, come la felicità rispetto alla paura e questo perché, continua la ricercatrice, alcune emozioni si somigliano di più ed è più difficile capire cosa vogliano significare realmente (basti pensare agli occhi spalancati e alla bocca aperta, che possono indicare al tempo stesso paura o sorpresa).

Il cervello sociale di un’emoji

Le ricercatrici hanno quindi cercato di capire come il cervello interpreti le emoji scoprendo che le vede sì come volti, ma solo in parte, come già suggerito da altri studi nel campo, riprende Proverbio. In altre parole, il cervello sociale delle emoji è diverso da quello legato ai volti reali: “Non si attivano le aree innate per il riconoscimento delle facce (come FFA e STS). Infatti inizialmente le faccette vengono considerate piccoli oggetti ed elaborate come tali dall’area temporale sinistra – spiegano le autrici nel paper – Allo stesso tempo, le loro componenti interne verrebbero riconosciute come parti del volto e dettagli facciali dall’OFA, e la morfologia facciale – per esempio, la curvatura delle sopracciglia e della bocca – sarebbe in grado di indirizzare l’interpretazione emotiva, attivando le aree del sistema limbico, dell’uncus e del cingolato”.

In realtà, oltre alla parte emotiva, il cervello vede le faccine come facce di qualcuno: le emoji in sostanza verrebbero antropomorfizzate e usate per capire la mente dell’altro dall’area orbitofrontale, concludono le ricercatrici. Ed è in questo modo che capiremmo l’altro. Quasi sempre, considerato che a volte è facile (e per fortuna) sbagliarsi leggendo un’emoji.

Via: Wired.it

Credits immagine: Denis Cherkashin su Unsplash

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