Estrogeni alla sbarra

Gli estrogeni sarebbero i principali responsabili, oltre che dell’avvio, della proliferazione dei tumori alla mammella e, sorprendentemente, anche di quello alla prostata. Alla luce di questa scoperta si potranno perfezionare i protocolli di prevenzione e terapia per la forma di cancro più diffusa fra le donne e riconsiderare quelli per il cancro alla prostata. Se da un lato, infatti, già da anni, gli estrogeni sono stati indicati come ormoni capaci di avviare un processo di cancerogenesi mammario, dall’altro, mai prima d’ora erano emerse evidenze di un loro coinvolgimento nei tumori alla prostata. Anzi gli estrogeni sono stati impiegati in alcune terapie: non direttamente sulle cellule neoplastiche, ma indirettamente sull’ipofisi per inibire la produzione di alcuni ormoni, le gonadotropine. “Siamo ormai certi dell’importantissimo ruolo giocato dagli estrogeni nella proliferazione dei tumori alla mammella e alla prostata”, afferma Luigi Castagnetta, del dipartimento di Oncologia, Università di Palermo e direttore del workshop internazionale oncologico svoltosi presso il Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice durante il quale sono stati presentati questi risultati. “A queste conclusioni siamo giunti grazie ad un’attività di collaborazione intra e interdisciplinare fra gruppi di studio europei e statunitensi”. Lo studio, che ha coinvolto oltre all’oncologo palermitano anche Herbert Leon Bradlow dell’Institute for Biomedical Research (Hackensack), Jan Ake Gustafsson dell’Huddinge University Hospital (Stoccolma), James Yager della Johns Hopkins University (Baltimora), Ercole Cavalieri dell’Università del Nebraska, e Paola Muti della School of Medicine dell’Università di Buffalo (Usa), offre spunti anche per l’attuazione di una migliore prevenzione. Secondo i ricercatori, considerato il ruolo centrale che gli estrogeni assumono nella proliferazione dei tumori alla mammella, è opportuno, per esempio, riconsiderare l’approccio terapeutico instaurato nelle donne per contenere i disturbi provocati dalla menopausa. Un capitolo a parte è poi rappresentato dagli estrogeni che ci ritroviamo a tavola con il consumo di carni “gonfiate”. Di cui è difficile stabilire l’esatta entità ingerita ogni giorno. L’incontro di Erice è stata anche l’occasione per fare il punto della situazione anche sulle terapie. In particolare Soldano Ferrone, italiano emigrato negli Stati Uniti dove dirige il Dipartimento di Immunologia del Roswell Park Cancer Institute di Buffalo, ha presentato i risultati di una ricerca che consente di individuare alcuni indicatori capaci di rivelare, in anticipo, il tipo di risposta terapeutica nella cura del melanoma (tumore maligno della pelle). In particolare, partendo dal presupposto che, generalmente, i tumori, e il melanoma in modo particolare, nascono quando la risposta immunitaria è deficitaria (ragione che piega come mai gli anziani sono a più alto rischio), è stato osservato che la terapia farmacologia risulta essere efficace in proporzione alla riattivazione della funzionalità immunitaria del soggetto. Nel melanoma, pertanto, la risposta immunitaria giocherebbe un ruolo importante, sia nella fase della crescita, sia in quella della regressione della neoplasia.

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