Evviva il cibo della nonna

Michael Pollan
In defence of food. The myth of nutrition and the pleasures of eating
Allen Lane 2008, pp.242 euro 24,67

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“Mangia cibo. Non troppo. Soprattutto piante”. Con questo slogan si apre il libro di Michael Pollan: apparentemente banale, ma soprattutto per gli anglosassoni, non poi così tanto. Infatti, troppo spesso troviamo sui banchi di supermercato etichette ripiene di accenni a ingredienti “salutari” aggiunti appositamente per il bene del consumatore. L’indizio migliore per starne lontani, secondo Pollan: “uno slogan salutistico su un cibo è una forte indicazione che quello non è veramente cibo”.
Il cibo, nei supermercati americani (ma non solo) è stato gradualmente sostituito dai nutrienti: l’era del nutrizionismo, che ha fatto sì che il cibo risultasse fuori moda. Da Liebig (il creatore degli estratti carne nel XIX secolo) fino alla fobia del colesterolo alimentare, la nostra alimentazione si è progressivamente trasformata sulla base di assunti scientifici che molto spesso sono – quando va bene – discutibili.

Siamo di fronte a un enorme esperimento: si mettono alla prova ipotesi nutrizionali tutt’altro che certe, e si vede come va a finire. Un esempio è l’uso di grassi polinsaturi, ottenuti attraverso processi industriali di idrogenazione, al posto dei grassi saturi. Cioè, un componente non presente nella dieta umana nel corso di massima parte della sua storia evolutiva e culturale, che tuttavia è stato quasi all’improvviso imposto come un obbligo: via il burro, ecco la margarina. Ma ci sono dei reali benefici? Dai dati disponibili, non sembrerebbe. Lo stesso si può dire per le diete a basso contenuto di grassi, sostituiti da carboidrati (per lo più raffinati). Non esistono benefici dimostrati, e anzi, nonostante il consumo di grassi stia diminuendo nelle società occidentali vi è un’epidemia di obesità e le malattie cardiovascolari non diminuiscono. Anzi, nel 2006 uno studio della Women Health Initiative, su 49mila donne, durato dieci anni, ha dimostrato che una dieta povera di grassi non diminuisce il rischio di cancro o di eventi cardiovascolari.

Dunque, su cosa si basa il nutrizionismo? È un misto di cattiva scienza e di necessità di profitto. Il profitto dell’industria alimentare, che guadagna in maggior misura da alimenti “non cibo” – come i grassi idrogenati, e che deve continuare la crescita, di fronte a una sostanziale stabilità della domanda (o quanto meno, che cresce troppo lentamente per le borse). E cattiva scienza, perché necessariamente riduzionista (gli antiossidanti, presi singolarmente, non sembrano avere effetti positivi: ma mangiare qualche carota e pomodoro in più, invece, fa bene) e incapace di controllare nel dettaglio i soggetti sperimentali. Lo studio sopracitato, per esempio, in realtà diceva molto poco, poiché non è chiaro cosa mangiassero le donne coinvolte. E al dietologo nutrizionista sono in molti a mentire.

Ma come ci si difende dall’assalto del nutrizionismo industriale? Un buon modo è la cosiddetta regola della nonna: non mangiare nulla che tua nonna non riconoscerebbe come cibo. Via quindi tutti quegli strani aggregati di nutrienti che sono sugli scaffali dei supermercati. Poi, puntare sulla qualità: buona carne non industriale, frutta e verdura preferibilmente biologiche, pesce in quantità moderate e non d’allevamento. E equilibrare il tutto: non cercare il “proiettile magico”, cioè il singolo ingrediente toccasana, ma ingerire di tutto un po’, magari associato con piccole quantità di buon vino.

Il libro di Pollan è sicuramente diretto agli americani, e quindi alcuni consigli fanno sorridere. Ma è anche vero che sempre di più il nutrizionismo si diffonde in Europa: il latte arricchito di omega3 (che normalmente si trova nella carne e nel pesce) lo troviamo anche nei nostri supermercati. Quindi, per quanto ci possa sembrare banale, il libro mette in guardia contro pericolose tendenze contemporanee. Non solo riguardanti la salute, ma anche comportamenti culturali che forse non dovremmo abbandonare, quali la capacità di apprezzare sapori naturali e il gusto di mangiare per “piacere” e non solo per “nutrirsi”. La salute personale e del pianeta ne trarranno giovamento.

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