Farsi visitare dallo stesso medico allunga la vita

via Pixabay

“Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quello che trova” recita un famoso proverbio popolare. Meglio non abbandonare la via vecchia per la nuova anche quando si tratta della scelta del nostro medico curante. Sembra infatti che rimanere fedeli al proprio medico consenta di vivere più a lungo. Lo suggerisce un nuova ricerca, svolta in collaborazione da ricercatori del St Leonard’s Practice di Exeter e dell’University of Exeter Medical School, appena pubblicata sulla rivista British Medical Journal Open.

I ricercatori hanno passato in rassegna ben 700 studi sul tema della continuità delle cure, pubblicati dal 1996 al 2017. Tra questi ne hanno selezionato 22 che mettevano in relazione la continuità nella frequentazione di uno stesso medico con il rischio di morte. Si tratta di studi condotti in nove paesi (tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Corea del Sud e Israele) con culture differenti e sistemi sanitari molto diversi tra loro. In 18 di questi studi, e cioè in oltre l’80% dei casi, la continuità nelle cure appare associata ad una significativa riduzione della mortalità per tutte le cause. Uno degli studi, ad esempio, mostra che i pazienti che erano stati sottoposti ad intervento chirurgico per cancro del colon-retto avevano una probabilità doppia di morire entro un anno se cambiavano chirurgo in caso di riammissione.

Va detto che 3 dei 22 studi selezionati non hanno trovato nessuna relazione significativa tra continuità terapeutica e tasso di mortalità, mentre un altro portava a risultati contrastanti.

La diminuzione della mortalità nel caso di continuità delle cure si osserva in tutti i paesi presi in esame, indipendentemente dal tipo di sistema sanitario. E la relazione è vera non solo per i medici di famiglia, ma anche per gli specialisti, come psichiatri e chirurghi.

“Si può parlare di continuità delle cure – afferma Philip Evans, che ha guidato la ricerca – quando un paziente e un medico si vedono ripetutamente nel tempo e si conoscono reciprocamente”. La continuità delle cure consente una migliore comunicazione tra medico e paziente, una maggiore aderenza alle terapie ed un minore ricorso alle cure ospedaliere di emergenza.

“La continuità delle cure è un indicatore della qualità della relazione tra medico e paziente” spiega Denis Pereira Gray, primo autore dello studio. “Il rapporto tra medico e paziente- prosegue Gray- è fondamentale perché una maggiore familiarità con il medico consente al paziente di essere a proprio agio, di aprirsi e raccontare al proprio medico con dovizia di particolari sintomi e problemi di salute. Al tempo stesso la continuità nelle visite consente al medico di conoscere più a fondo il paziente e il suo stato di salute e di personalizzare adeguatamente le terapie prescritte”. Inoltre, un paziente che nutre fiducia verso il proprio medico, quella fiducia che può nascere solo dalla frequentazione continua, segue con maggiore scrupolo le sue prescrizioni.

Insomma è l’effetto combinato di tutti questi fattori – secondo le conclusioni della ricerca- che contribuisce alla minore mortalità di coloro che sono più fedeli al proprio medico.

“In un momento come questo di grande sviluppo di nuove tecnologie mediche e di nuovi metodi di cura- continua Gray – l’aspetto umano della pratica medica viene spesso trascurato. Il nostro studio dimostra che può potenzialmente salvare delle vite e dovrebbe essere prioritario”.

Molti degli studi analizzati- concludono gli autori nell’articolo- sottolineano la necessità di dare priorità alla continuità terapeutica nella pianificazione dei servizi sanitari. Nonostante gli avanzamenti tecnici in medicina il fattore interpersonale rimane fondamentale, e questo vale sia per i medici di base che per gli specialisti.

“Finora – conclude Gray-  fare in modo che i pazienti scegliessero il loro medico è stato considerato una questione di convenienza o di cortesia: ora è chiaro che riguarda la qualità della pratica medica ed è letteralmente una questione di vita o di morte”.

Riferimenti: BMJ Open

1 commento

  1. Ho l’impressione che lo studio (o perlomeno l’articolo che ne parla) confonda una correlazione con una relazione di causa-effetto.
    Il fatto che le persone che muoiono prima cambino più volte medico può essere spiegato anche col fatto che se uno ha una patologia seria che non riesce a risolvere è normale che ci provi con diversi medici, mentre se uno sta bene non sente affatto il bisogno di passare da un medico all’altro.
    Può darsi quindi che si scambi la causa con l’effetto.

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