Non solo déjà vu: esiste anche il jamais vu

(Foto: engin akyurt su Unsplash)

Il déjà vu è uno di quei fenomeni che, per quanto rari, conosciamo più o meno tutti. Perché basta che ci accada una volta, e difficilmente dimenticheremo la sensazione: quell’inquietante senso di familiarità che ci fa credere di aver già vissuto esattamente la stessa situazione in cui ci troviamo, fino a dubitare della realtà. Non tutti sanno però che il déjà vu ha anche un suo opposto, più raro forse, ma non meno angosciante: il jamais vu, la sensazione che qualcosa di quotidiano e ben noto sia invece nuovo o sconosciuto, come se lo vedessimo per la prima volta o con “occhi nuovi”. Una ricerca dedicata proprio allo studio del jamais vu ha vinto il premio IgNobel per la letteratura dello scorso anno, dimostrando – come spiegano i suoi autori in un articolo su The Conversation – che il fenomeno è spesso legato alla lunga esposizione, o ripetizione, di parole e concetti. Vediamo di capirne di più insieme.

Déjà vu

Anche nel caso del fenomeno più noto, le certezze sulla sua origine sono molto poche. Si sa che è più comune in giovane età. Che esistono persone che lo sperimentano più spesso, e più a lungo, del solito. E che alcune patologie, come l’epilessia e certe forme di emicrania, possono renderla un’esperienza più comune. Cosa causi il déjà vu a livello del nostro cervello, però, rimane a tutt’oggi un mistero. Difficile da risolvere vista la natura imprevedibile di questo fenomeno, che rende impossibile infilare delle persone in una macchina per la risonanza magnetica e sperare che sperimentino un déjà vu proprio mentre osserviamo cosa succede nella loro testa.

Ciò non toglie che siano state formulate molteplici ipotesi per tentare di spiegare il sostrato neurale del déjà vu. Tra queste, che sia un fenomeno che nasce quando gli input percettivi, o dei frammenti di questi, vengono registrati o riprocessati due volte dal nostro cervello, in rapidissima successione, generando la convinzione di aver già fatto esperienza della situazione in passato. O che sia legato a qualche tipo di malfunzionamento del sistema della memoria, che richiama una percezione di familiarità inesistente tra la situazione attuale e qualche vecchio ricordo. O ancora, che sia un fenomeno di alterata sensorialità degli stimoli percepiti, per cui una sensazione che sperimentiamo nel presente richiama una memoria precedente associata alla stessa sensazione.

Gli stessi autori della ricerca sul jamais vu hanno realizzato un esperimento qualche anno fa per studiare il déjà vu stimolandone la comparsa in laboratorio utilizzando serie di parole collegate tra loro logicamente, e una parola del tutto scollegata pensata per mandare in confusione il cervello. A detta loro, i risultati suggerirebbero che il déjà vu compaia quando il sistema cerebrale dedicato a riconoscere un’esperienza familiare viene de-sincronizzato per un istante dalla realtà, facendoci così sembrare familiare un’esperienza che in realtà non lo è. Non è chiaro se le cose stiano realmente così, ma con lo stesso set up sperimentale il gruppo aveva già tentare di studiare anche altri fenomeni mnemonici oscuri, come appunto il jamais vu.


Capire come funziona il cervello, per immagini


Repetita nocent

Nel caso del jamais vu, il design sperimentale era il seguente: a 94 studenti universitari è stato chiesto di scrivere ripetutamente e il più velocemente possibile una parola, fermandosi solo quando sperimentavano qualche sensazione strana, quando la noia aveva il sopravvento o quando le loro mani iniziavano a fare male. Dopo aver fatto ripetere a tutti i partecipanti l’esperimento con 12 diverse parole, i ricercatori hanno analizzato le ragioni più comuni per cui avevano smesso di scrivere: il 70% lo aveva fatto, almeno una volta, per via di qualche strana sensazione che gli studenti hanno definito come un “perdere il controllo della mano”, o con spiegazioni come “più le guardo più le parole perdono di senso”, o ancora “qualcosa sembrava sbagliato, come se la parola non fosse una vera parola e qualcuno stesse cercando di ingannarmi facendomi credere che lo fosse”. Esperienze estranianti di perdita di familiarità, insomma, che i ricercatori hanno deciso di considerare una forma di jamais vu, che in media in questo esperimento insorgevano dopo aver scritto le parole 33 volte di seguito, e che sono risultati più frequenti per parole con cui i soggetti sperimentali avevano estrema familiarità.

Ripetere un gesto molte volte consecutivamente, o osservare un oggetto o una parola per molto tempo, possono quindi produrre un mutamento o la totale perdita del suo significato per il soggetto, che secondo i ricercatori si associano ad una sensazione di jamais vu. Secondo loro, è qualcosa che il nostro cervello fa per estraniarsi da una situazione che sta diventando troppo ripetitiva, chiamarsene fuori e valutare cosa sta accadendo: la sensazione di trovarsi in una situazione irreale che accompagna il jamais vu, quindi, sarebbe legata a un test di realtà da parte del nostro cervello, che cerca di assicurarsi che sia tutto in ordine.

Secondo loro, il nostro sistema cognitivo si è sviluppato per rimanere flessibile e attento, ed è quindi intrinsecamente progettato per non perdersi in compiti ripetitivi troppo a lungo. Quando lo fa, qualcosa al suo interno gli segnala che è il caso di verificare che sia tutto a posto e che non ci sia altro di cui occuparsi. Non si tratta di una spiegazione esaustiva del fenomeno, ma è un punto di vista nuovo e interessante, che collega il jamais vu al déjà vu, come risultati di due meccanismi di sicurezza del nostro cervello che entrano in gioco quando le circostanze suggeriscono che qualcosa in quel momento potrebbe non andare nel modo giusto.

Per ora, la ricerca è fruttata ai suoi autori un premio IgNobel per la letteratura, “per lo studio delle sensazioni che le persone provano quando ripetono una sola parola molte, molte, molte, molte, molte, molte, molte volte”. Una soddisfazione, che probabilmente spingerà i vincitori a continuare ad approfondire l’indagine dei fenomeni più misteriosi del nostro cervello. Sensazioni come il déjà vécu, il presque vu, il déjà rêvé o il déjà entendu (solo per citare i parenti più stretti del déjà vu), di cui, ad oggi, sappiamo ancora pochissimo.

Via: Wired.it

Credits immagine: engin akyurt su Unsplash