John Farley
To Cast Out Disease. A History of the International Health Division of Rockefeller Foundation (1913-1951)
Oxford University Press, 2003
pp.323, euro 58,63
Nell’ultimo secolo, la medicina e la sanità pubbliche sono state profondamente plasmate dalle reti di relazioni internazionali che in vari modi sono nate nel mondo contemporaneo. Da un lato, le nazioni europee hanno avuto modo di confrontarsi con problemi tradizionalmente estranei per il tramite delle loro colonie in diverse zone. Dall’altro, le nazioni che invece avevano meno propaggini all’estero ma esercitavano – o desideravano esercitare – una forte influenza a livello internazionale, soprattutto gli Stati uniti, si sono affidate all’azione di agenzie internazionali sostenute da finanziamenti pubblici e privati. Tra le fondazioni filantropiche private, una delle più importanti è stata certamente la Rockefeller Foundation, nata dalla voglia di farsi “buona stampa” da parte del proprietario della Standard Oil, quasi monopolista nel settore petrolifero americano che aveva accumulato alla fine dell’Ottocento una fortuna da zio Paperone.Il volume di John Farley, biologo inglese convertitosi alla storia della medicina, racconta la storia di una parte dello sforzo filantropico della Rockefeller Foundation: la International Health Division, durata neanche quarant’anni è infatti solo una delle tante ripartizioni della fondazione, che comprendeva anche un prestigioso campus biomedico e numerosi programmi di finanziamento di ricerche per ricercatori esteri. L’International Health Division era stata invece destinata soprattutto all’eradicazione di alcune malattie, diffuse negli Stati Uniti e in diverse parti del mondo. La sua storia nacque in seguito a una prima iniziativa dedicata all’anchilostomiasi, un malattia da vermi dovuta soprattutto alla scarsa igiene. Negli anni seguenti gli obiettivi principali furono la tubercolosi, il tifo, la febbre gialla e – soprattutto – malaria.Diversamente da altre organizzazioni filantropiche, come la Croce Rossa, la IHD dopo la Prima guerra mondiale decise di non intervenire più nelle situazioni di emergenza, per esempio in soccorso dei rifugiati di guerra. La strada scelta fu quella di stimolare la creazione di efficienti strutture sanitarie e di intraprendere un’opera di educazione sia al livello della gente comune che delle autorità governative, in modo da rendere il proprio intervento il più durevole possibile.I piani non sono sempre andati a buon fine: in diverse parti del mondo la divisione se ne va senza apprezzabili risultati. Ci sono però dei successi, anche vistosi. In Italia per esempio, dove la Rockefeller affianca il regime fascista nella lotta alla malaria. Dei primi anni di collaborazione, il risultato più duraturo è sicuramente l’Istituto Superiore di Sanità inaugurato nel 1934 proprio grazie al finanziamento americano. Subito dopo la guerra, l’IHD si impegnò nell’eradicazione della malaria in Sardegna. Grazie al DDT, da poco scoperto come insetticida, l’impresa riuscì in pochi anni, pur tra mille traversie e faide interne. Il volume è decisamente agiografico. Pur presentando anche gli insuccessi della IHD, è molto carente dal punto di vista dell’analisi storica, e non affronta mai i temi ideologici che molto spesso hanno spinto la fondazione nella sua attività filantropica. Farley sorvola su questo tipo di questioni, limitandosi a tirare fuori dagli archivi numerosi documenti inediti. Pur con questi difetti, il volume è un ottimo punto di partenza per gli studiosi interessati ad approfondire la storia delle istituzioni mediche contemporanee.
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