La formula perfetta per l’espresso? Ci pensa la matematica

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Foto di skeeze da Pixabay

Ristretto, allungato, macchiato, doppio, in tazzina classica o di vetro: il caffè non è solo una bevanda, ma un rito che accomuna tutto il mondo, e si declina in infinite sfumature. Per gli italiani ha un solo nome: espresso, un momento quasi sacro della giornata e un’occasione sempre buona per socializzare o prendersi una pausa. Una bevanda apprezzata ormai ovunque, non solo per il suo sapore, ma anche per i suoi noti effetti sulla concentrazione e sull’energia. E oggi uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Matter ha scoperto un sistema per migliorare la sua produzione, riducendo gli sprechi e le variazioni nel sapore. A partire dalla matematica.

Espresso: tante variabili, una sola tazzina

Da diversi anni gli studiosi cercano nella scienza esatta per eccellenza la formula per il caffè perfetto. Un’impresa all’apparenza impossibile, visto che le variabili in gioco sono davvero troppe. L’espresso è un infuso che si ottiene spingendo acqua calda, sottoposta ad alta pressione, attraverso un filtro pieno di caffè tostato. E i fattori che influenzano il risultato sono molti. Alcuni di questi sono controllati dal barista, che mette in azione la macchina del caffè: la pressione, la portata e la durata del flusso d’acqua, la quantità di polvere inserita nel filtro e il volume del prodotto finito.

Ci sono altre variabili, poi, che incidono sulla superficie del caffè esposta all’acqua, e quindi sulla qualità della bevanda. Come la macinazione, più o meno sottile, che determina la distribuzione delle particelle e il modo in cui si distribuiscono le particelle controlla la permeabilità del filtro e quindi la portata del flusso.

Normalmente, per preparare una tazzina di espresso, si usa una quantità abbastanza grande di chicchi di caffè tritati più finemente possibile. Il senso comune, infatti, vuole che particelle di caffè più sottili espongano una superficie maggiore al liquido di infusione, e che questo aumenti il rendimento della polvere. “La maggior parte delle persone nell’industria del caffè usa una macinatura fine e molti chicchi per ottenere un mix di sapore amaro e acidità che è imprevedibile e non riproducibile”, spiega Christopher Hendon, chimico computazionale dell’Università dell’Oregon, fra gli autori dello studio.

“Suona controintuitivo, ma gli esperimenti e i modelli suggeriscono che si possono ottenere un prodotto più omogeneo e conveniente semplicemente usando meno caffè e macinandolo in modo grossolano”, continua Hendon. Il team di ricercatori, infatti, ha rilevato che una macinazione sottile rende passaggio dell’acqua nel filtro più disomogeneo, e questo si traduce in risultati meno costanti e nello spreco di materia prima, ovvero di chicchi di caffè.

Dagli ioni di litio alle molecole del caffè

I ricercatori hanno iniziato creando un modello matematico per spiegare il rendimento dell’estrazione, basandosi sui fattori che il barista può controllare, come come la quantità d’acqua e di caffè, il tipo di macinazione, più fine o grossolana, e la pressione dell’acqua. Poi hanno messo alla prova il modello in una serie di esperimenti di infusione, e i risultati sono stati molto diversi dalle previsioni. Una macinazione sottile, come quella adottata normalmente dall’industria, intasa infatti il filtro in cui si formano placche di polvere di caffè in cui l’acqua non riesce a passare. Questo riduce la resa, produce uno spreco di materia prima e cambia il sapore finale.

Tornando a lavorare sul modello, i ricercatori hanno preso in prestito gli strumenti di una branca della fisica chiamata elettrochimica, paragonando il modo in cui l’infusione dei grani di caffè rilascia caffeina e altre molecole nell’acqua a quello con cui gli ioni di litio si muovono attraverso gli elettrodi di una batteria. Il tentativo, questa volta, ha dato i risultati sperati. E armati finalmente di un modello affidabile, dopo molti esperimenti di macinazione e migliaia di tazzine di caffè, i ricercatori hanno ottenuto una ricetta che ottimizza sia la resa dell’estrazione sia la riproducibilità della bevanda. In sintesi, il segreto sarebbe macinare più grossolanamente i chicchi, usare meno acqua e ridurre la quantità di caffè tostato.

Un espresso più economico e più ecologico

Questo sistema – spiegano gli autori della ricerca – può portare benefici economici sia ai singoli bar sia all’intera industria del caffè. Solo negli Stati Uniti, considerando il prezzo attuale del caffè tostato, diminuire da 20 a 15 grammi la quantità usata per ogni tazzina porterebbe anche un piccolo bar a risparmiare alcune migliaia di dollari l’anno. Mentre considerando l’industria di tutto il paese i risparmi supererebbero il miliardo ogni anno. Inoltre, tutto il settore ne guadagnerebbe in sostenibilità ambientale, in un momento in cui le scorte di caffè nelle sue storiche regioni di produzione sono a rischio proprio a causa dei cambiamenti climatici.

Ma se la matematica ci può aiutare a ottimizzare la produzione, a risparmiare e creare caffè dal sapore costante, la formula per l’espresso perfetto probabilmente è invece impossibile da ottenere: si tratta di un mix di sapori unico e irripetibile, ma soprattutto soggettivo, come ammette Hendon: “Dipende troppo dai gusti della persona che produce il caffè; quello che possiamo fare è, al più, chiarire quali variabili influiscono sull’infusione dell’espresso”.

Riferimenti: Matter

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