Fukushima, il pesce è ancora radioattivo

Diciotto mesi dopo l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima in seguito al terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011, in Giappone continua la conta dei danni. Conta che, nel paese tra i maggiori consumatori di pesce al mondo, è fatta in buona parte in mare. Il disastro alla centrale Dai-ichi ha infatti determinato il più grande rilascio accidentale di radioattività negli oceani. Una contaminazione che ancora oggi si ritrova nei pesci, come riporta oggi uno studio su Science

Il Ministero giapponese dell’agricoltura, delle foreste e della pesca ha cominciato a tener traccia dei livelli di contaminazione radioattiva in pesci, crostacei ed alghe da subito, sin dal 23 marzo 2011 all’interno e nei dintorni della prefettura di Fukushima. Dati pubblicamente disponibili e che ora Ken O. Buesseler, chimico marino della Woods Hole Oceanographic Institution ha analizzato, osservando come i livelli di radionuclidi, in alcuni casi, siano ancora alti nei 9mila campioni presi in considerazione.

Se infatti per la maggior parte dei casi pesci, crostacei e alghe mantengono livelli di contaminazione radioattiva ben sotto i limiti fissati per giudicarne sicuro il loro consumo alimentare (anche considerato che lo scorso aprile il governo giapponese aveva abbassato i livelli per il cesio-134 e il cesio-137, da 500 a 100 becquerels per chilogrammo di peso fresco, Bq/Kg), il mare nei dintorni di Fukushima presenta ancora concentrazioni di radionuclidi non trascurabili. Lo dimostrano gli elevati livelli degli isotopi radioattivi di cesio riscontrati soprattutto nel pesce che vive in prossimità dei fondali. Il 40 per cento circa di questo tipo di pesci nelle acque al largo di Fukushima supera i 100 Bq/kg di peso fissati come limite. Un caso simile a quello dei tonni migrati dal Giappone alla California, in cui erano stati riscontrati livelli di cesio più elevati, ma comunque sicuri, lo scorso maggio. 

Ma non solo. La situazione infatti nelle acque giapponesi è più complicata, a mosaico. Se infatti alcune specie non mostrano livelli apprezzabili di radionuclidi, per altre i livelli non sono mai scesi, e solo lo scorso agosto sono stati catturati due pesci greenling con più di 25mila Bq/Kg di cesio. Dati che significano almeno due cose: primo che non tutti i pesci si comportano allo stesso modo in termini di assorbimento e rilascio di radionuclidi, e in secondo luogo che, come racconta Buesseler, esiste forse ancora una fonte di radionuclidi attiva nell’oceano, probabilmente sotto forma di sedimenti contaminati. Se questo fosse vero, considerato che il Cesio 137 ha un’emivita di circa 30 anni, questo significherebbe avere a che fare con siti contaminati per altre decine di anni.

Inoltre i livello di cesio radioattivo riscontrati nelle specie marine è piuttosto variabile anche in termini di tempo, rendendo ancora più complicato prendere decisioni su quando aprire e chiudere certi tipi di pesca. Rendendo quindi necessario, conclude Buesseler, far luce sulle fonti di radionuclidi che stanno ancora inquinando il mare al largo di Fukushima.

Via: Wired.it

Credits immagine: libraryman/Flickr

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