Fukushima, per l’Oms il rischio di tumori è minimo

Saranno pochi i giapponesi ad ammalarsi di cancro in seguito al disastro nucleare di Fukushima Daichii. E anche chi svilupperà la malattia non saprà mai con certezza se è stata causata o meno dall’incidente. Sono queste le conclusioni di due studi sulle dosi di radiazioni a cui sono stati esposti gli abitanti dell’area interessata dal disastro, e gli operai e tecnici che hanno lavorato per riportare sotto controllo i reattori della centrale nucleare, sventrata dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo 2010. Nature  ha visionato in anticipo e rivelato i risultati preliminari di due studi, condotti dalla Commissione Scientifica delle Nazioni Unite per gli Effetti della Radiazione Atomica (Unscear) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che saranno completati entro l’anno e discussi al meeting annuale dell’Unscear a Vienna. 

Le analisi dell’Unscear si sono concentrate soprattutto sui lavoratori dell’impianto. Esaminando i dati clinici di più di ventimila dipendenti della Tokyo Electronic Power Company (Tepco, la società proprietaria dell’impianto di Fukushima Daiichi), gli studiosi hanno scoperto che 167 soggetti sono stati esposti a dosi superiori ai 100 mSv (millisievert, l’unità di misura degli effetti e del danno provocato dalla radiazione su un organismo), livello al quale è accertato un leggero, ma quantitativamente sconosciuto, aumento del rischio di sviluppare un tumore. Su sei lavoratori, invece, è stata misurata un’esposizione superiore a 250 mSv, il limite consentito dalla legge giapponese per gli operatori di prima linea in emergenze come questa. 

La commissione di scienziati ha stabilito, inoltre, che il collegamento tra potenziali malattie ed esposizione alla radioattività non potrà mai essere completamente chiarito, a causa del basso numero di persone coinvolte e dell’alto tasso di occorrenza di tumori nelle nazioni sviluppate come il Giappone. In ogni caso, gli esperti concordano sul fatto che sia improbabile un aumento significativo di casi di tumore della tiroide o leucemia. Basti pensare che a Chernobyl, dove i lavoratori che hanno bonificato il reattore sono stati esposti a livelli di radiazioni molto più alti, solo lo 0,1 per cento ha sviluppato una leucemia, senza che tra l’altro tutti questi casi fossero direttamente imputabili all’incidente (vedi Galileo: Cosa significa che Fukushima ha raggiunto Chernobyl).

Il secondo studio, quello dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, si è focalizzato, invece, sui 140mila civili residenti entro un raggio di 20 chilometri circa dal reattore: per loro, il rischio sembra essere anche più basso. Poiché non sono disponibili misure dettagliate delle radiazioni al momento dell’incidente, gli scienziati hanno stimato statisticamente l’esposizione dovuta a inalazione, concludendo che la maggior parte dei residenti di Fukushima e delle zone circostanti ha ricevuto una dose inferiore ai 10 mSv. Gli abitanti della città di Namie e del villaggio Iiate, due aree che sono state evacuate tardivamente, sono stati esposti fino a 10-50 mSv.

I ricercatori hanno dedicato particolare attenzione ai bambini di Namie, per i quali temevano conseguenze più gravi rispetto agli altri abitanti (la conseguenza principale del disastro di Chernobyl è stata infatti l’aumento del cancro alla tiroide nei più piccoli). Tuttavia, i dati raccolti su 1080 soggetti hanno mostrato che nessuno ha ricevuto una dose maggiore a 50 mSv. Oggi, a più di un anno dall’incidente, le linee guida indicate dal governo giapponese mirano a mantenere l’esposizione pubblica sotto i 20 mSv annui e a una decontaminazione completa nel lungo periodo.

I risultati degli studi sembrano, secondo Nature, premiare le azioni del governo successive all’incidente (vedi Galileo: Fukushima, il piano per evacuare Tokyo e Fukushima, gli stress test sono davvero efficaci?). La speranza dei due gruppi di ricerca è che queste analisi aiutino la ripresa psicologica della popolazione e la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadinanza e istituzioni. Ma c’è anche chi critica il lavoro dell’Oms e dell’Unscear: come Tatsuhiko Kodama, direttore del Centro Radioisotopi dell’Università di Tokyo e aperto contestatore del governo. “Penso che le organizzazioni internazionali debbano smetterla di trarre conclusioni affrettate basandosi su visite occasionali in Giappone, che non permettono di capire cosa accade realmente a livello locale”, ha detto.

La commissione dell’Unscear, in ogni caso, ha ancora molto da lavorare prima del completamento dello studio, senza contare che ancora deve essere stimato il danno per piante e animali sia terrestri sia marini. Gli scienziati continueranno a valutare i dati dell’incidente e a studiare nuovi modelli del flusso di isotopi radioattivi dal reattore verso l’ambiente esterno. “I giapponesi vogliono sapere se tutto ciò che gli è stato detto è vero”, conclude Wolfgang Weiss, direttore dell’Unscear.

Riferimento: Nature doi:10.1038/485423a

Credit immagine a UNSCEAR, WHO & METI

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