Galileo ribelle, contro il portar la toga

Intorno al 1590 il ventiseienne Galileo Galilei, professore di matematica presso l’università di Pisa, compone un gustoso poemetto di 300 versi, che circola manoscritto per il divertimento degli amici, ma che contribuisce di certo ad alienargli le simpatie dei sussiegosi e bigotti colleghi accademici. Si tratta del componimento Contro il portar la toga, scritto, in terzine di endecasillabi nello stile satirico del Berni, per contestare l’obbligo di recente imposto ai professori di indossare la veste anche al di fuori delle situazioni accademiche.

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Galileo Galilei
Contro il portar la toga
Edizioni ETS 2005, pp. 88 €10,00

Nel testo è innanzitutto evidente l’insofferenza del giovane Galileo per l’ambiente aristotelico in cui si muove, per chi con faticosa erudizione va “il sommo ben investigando”, laddove, per lui, “a chi vuol una cosa ritrovare,/ bisogna adoperar la fantasia,/ e giocar d’invenzione, e ‘ndovinare”. Scrive Galileo: “… per trovar il bene io ho provato/ che bisogna proceder pel contrario:/ cerca del male, e l’hai bell’e trovato”. La tesi che egli difende è – come ben sanno, dice, persino gli animali – che “un male a null’altro secondo” è “l’andar vestito”, da cui consegue che “il sommo ben sarebbe andare ignudo”. Figuriamoci portar la toga! Molteplici, esilaranti e maliziosi gli argomenti a sostegno: sessuali, sociali, economici, pratici, di convenienza, per giungere a concludere che gli uomini son fatti come i fiaschi: quelli più rustici “che non han tanto in dosso” son pieni di eccellente vino, mentre quelli che han “veste delicate” spesso “o son pieni di vento,/ o di belletti o d’acque profumate,/ o son fiascacci da pisciarvi drento”.

Ma non voglio, con ulteriori anticipazioni, privare nessuno del piacere di ridere con Galileo, e di scoprire l’aspetto anticonformista e dissacrante della sua ricca personalità. L’occasione per farlo ci è offerta dalla pubblicazione del suo poemetto sulla toga per le Edizioni ETS: edizione elegante e davvero preziosa, anche per il materiale iconografico che l’arricchisce, la postfazione di Lucia Tongiorgi Tomasi e gli scritti di Roberto Vergara Caffarelli, Maurizio Rippa Bonati, Valeria Finucci e Federico Tognoni, che in maniera agile e chiara inquadrano e aiutano a comprendere il testo galileiano. dal punto di vista storico, letterario e sociale.

Desidero solo ricordare, a chi pensasse di poter liquidare “la toga” come occasionale esercizio goliardico, o sperimentazione di genere o come parto di intemperanza giovanile, che anche altrove in Galileo si possono rintracciare analoghi termini coloriti, espressioni e ammiccamenti piccanti, insofferenza anticlericale: si vedano per esempio le sue note a margine di testi di studiosi di cui critica le idee, o le sue Considerazioni al Tasso, o passi delle sue lettere. La Toga ben descrive il suo umore di toscanaccio irriverente, che tale sarebbe rimasto fin negli anni della vecchiaia e del confino. A riprova, nel caso specifico, il fatto che, nel 1640, mezzo secolo dopo la composizione della Toga, provveda egli stesso a inviarne copia all’amico e allievo Renieri il quale lo ha informato che a Pisa “il Sig. Auditor Fantoni ha fatto spolverar le toghe a’ dottori; onde adesso non si vede altro che togati, e sarebbe molto a proposito il Capitolo che fece già V. E. Ecc.ma”. Ricevuto il testo, Renieri ringrazia e scrive al maestro: “Habbiamo, con uno o due amici, riso un pezzo della Toga…”. Sono certa che anche i lettori di oggi, quattro secoli più tardi, sapranno trarre uguale divertimento dalla sorprendente lettura.

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