Genetica a reponsabilità limitata

Per l’anno 2000 è previsto anche l’evento, tra i tanti altamente simbolici, della descrizione della intera sequenza di 3 miliardi di “lettere” (le basi azotate) che compongono il genoma umano, in pratica l’unico materiale biologico specifico (il DNA) che viene trasmesso dai genitori biologici ai figli.
Ma la sequenza del DNA è in codice e, come accade per tutti i messaggi in codice, leggere un testo non corrisponde a comprenderlo. Nel caso del genoma umano, l’unico codice completamente chiarito è quello per il quale a partire da una data sequenza di basi del DNA i meccanismi posseduti da ciascuna cellula sono in grado di sintetizzare una sequenza di aminoacidi specifica, cioè una proteina. Sono le proteine, come ad esempio l’insulina, l’emoglobina, il collageno, le molecole funzionali e strutturali che compongono le cellule e ne defininiscono le caratteristiche. Ma questa parte del DNA rappresenta solo il 2% circa dell’intero genoma; altre sequenze, solo parzialmente conosciute, sono in grado di controllare la sintesi delle proteine in modo che ciascuna di esse sia prodotta solo dalla cellula giusta (per esempio l’emoglobina solo nel globulo rosso), nella quantità necessaria ed al momento opportuno. Ma anche con l’aggiunta di questo materiale rimane sempre assai elevata la quota di genoma che ha funzioni (seppure ne ha) sconosciute.
Ciò creerà forse qualche problema in futuro: descrivere ora la sequenza in quelle parti che hanno funzione sconosciuta potrebbe impedire di raccogliere al momento del sequenziamento tutta una serie di informazioni accessorie che un domani potrebbero divenire indispensabili, costringendo quindi a rifare la sequenza quando si sapesse meglio cosa bisogna effettivamente studiare.

Cultura e natura

Al momento attuale è pertanto difficile valutare la quantità di informazione effettivamente presente nel DNA e quindi, ad esempio, capire cosa esattamante significhi che tra il DNA di un essere umano e quello di uno scimpanzè vi e solo una differenza di circa l’1%. La questione è assai meno teorica di quanto possa apparire: infatti una differenza dell’1% appare estremamente piccola per chi ritiene che nella sequenza del DNA sia scritta tutta la differenza tra le specie e tra gli individui di ciascuna specie.
In questo può forse aiutare una migliore disamina di quanto incide effettivamente quello che accade a ciascun individuo dopo che si è formato lo zigote, cioè la cellula uovo fecondata. Di quanto si avvicina lo scimpanzè all’essere umano se viene sottoposto ad una intensa educazione linguistica, per esempio mediante il linguaggio gestuale dei sordi? Si è visto che questo primate arriva a comprendere persino il concetto di morte, una nozione relativamente astratta. E d’altro canto, quanto assomiglia un individuo della nostra specie ad uno scimpanzé se non viene educato affatto? Già da più di un secolo sono stati descritti con una qualche accuratezza casi di neonati abbandonati in luoghi disabitati, i quali una volta reinseriti nella comunità degli uomini e sottoposti ad una educazione intensiva, non sono mai riusciti a raggiungere uno sviluppo normale. Sono solo alcuni esempi che portano a riflettere sul fatto che molte delle differenze che noi percepiamo (e consideriamo importanti) tra specie e tra individui della stessa specie non trovano nessuna spiegazione nella sequenza di DNA che compone il loro genoma.
Bisogna poi aggiungere che si avverte un senso di profondo disagio nell’operare paragoni tra esseri umani e animali usando di necessità solo termini che hanno senso per gli umani. Si pensi a quante sciocchezze sono state dette sull’organizzazione delle società umane deducendo fatti dal comportamento delle società delle api; c’e chi ha creduto veramente che nelle api si potessero identificare delle vere operaie o delle vere regine, non considerando che sono sempre e solo gli esseri umani che le hanno chiamate così, per comodità descrittiva, senza che questo possa giustificare alcuna analogia. Se non ha coscienza di classe, verrebbe da dire per usare una terminolgia quasi vietata ormai, un’ape operaia non sarà mai una vera operaia come noi la intendiamo.
Dimostrato che non tutte le differenze tra individui sono genetiche, rimane da affermare che esse sono comunque biologiche, almeno per chi ha qualche difficoltà ad ammettere l’esistenza di qualcosa che non abbia una base materiale. Con l’aggiunta che ciò che è biologicamente determinato è sempre il risultato di una interazione tra genetica e ambiente.
Consideriamo l’esempio della statura. La correlazione tra statura di genitori e figli è fuori discussione: i genitori più alti (della loro generazione) hanno i figli più alti (della loro generazione): i geni giocano quindi un ruolo indiscutibile. Ciononostante, nel corso dell’ultimo secolo, la statura è cresciuta di più di 10 centimetri, per il miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari.E allora, a cosa potrà effettivamente servire conoscere la sequenza del genoma umano? E’ meglio affrontare questa domanda dal punto di vista di chi è disposto a comprare i risultati di questa ricerca, a parte l’affermazione generica, ma non per questo meno valida, che in ogni caso si tratta di un pezzo di conoscenza indispensabile per comprendere i fenomeni biologici.
Dal momento che sappiano che non è abitudine dell’industria comprare scienza pura, se non per piccole quote marginali di prestigio, i veri interessi sono identificabili grossolanamente in tre direzioni.
Una prima direzione è verso la produzione di farmaci che utilizzino l’informazione genetica dedotta dal sequenziamento di geni specifici. In questa categoria non vanno solo elencate quelle proteine che devono essere somministrate a chi ha un difetto genetico che ne impedisce la normale produzione, ma anche quelle che servono a curare malattie non genetiche, ad esempio per stimolare in modo massiccio il sistema immunitario. Un paio di decine di proteine sono già in produzione, ma di altre centinaia è in corso la brevettazione.

C’è brevetto e brevetto

Sorge qui un serio problema rispetto alla effettiva brevettabilità di una informazione che è presente in natura e che quindi sembrerebbe da considerarsi proprietà di tutti. Su questo punto esiste tuttora una divergenza tra Stati Uniti ed Europa, e la brevettabilità non è ancora applicabile a livello mondiale.
La distinzione principale che si deve fare in questo contesto è tra il brevetto di una qualunque sequenza di DNA, così come essa è presente in natura e quello di una sequenza costruita in laboratorio. Nel primo caso non si dovrebbe poter parlare di brevetto, anche perché spesso non è nota la reale utilità pratica di tale sequenza. Piu complesso à il caso del brevetto di un costrutto (come viene chiamato), che ponendo insieme vari tratti di sequenze di DNA, ottenute da varie specie, ne determina una specifica funzione di uso pratico.
La seconda direzione è verso l’allestimento di test che consentano diagnosi, anche qui non solo genetiche. La diagnosi di malattie genetiche è già di grande utilità in varie situazioni: da quella prenatale che consente di abortire nel caso di feti con difetti genetici, a quelle precliniche, per coloro che, in presenza di malattie genetiche ad insorgenza tardiva, intendono programmare la loro vita, anche riproduttiva, prima dell’insorgere della malattia. Il problema è già caldissimo sul fronte della riservatezza: risulta ovvio che datori di lavoro e compagnie di assicurazioni sarebbero molto interessate ad avere queste informazioni per prevedere eventuali patologie. Il problema diviene ancora più complesso quando si pensi che si cominciano a scoprire situazioni nelle quali una certa costituzione genetica non determina di per sé una vera malattia, ma solo una predisposione ad avere specifiche malattie in coincidenza di particolari condizioni ambientali e/o del possesso di altre caratteristiche genetiche. Queste situazioni sono prevedibilmente molto frequenti, quasi a poter affermare che ognuno di noi è certamente portatore di un qualche tratto genetico che lo predispone ad una qualche malattia (è del resto ovvio che di qualcosa si deve pur morire). L’orientamento, anche a livello di enti sovranazionali, è quello di ritenere il complesso delle informazioni genetiche di stretta proprietà dell’individuo, ma appare chiaro che scorrettezze ed abusi sono possibili, oltre che facili da eseguire.
Il terzo settore è quello al quale vengono dedicate la massima parte delle pagime scientifiche dei quotidiani, senza che ciò sia effettivamente giustificato. Ci si riferisce alla possibilità di modificare il genoma. Alla possibile costruzione di mostri e super-razze si sono dedicati dibattiti accesi e complessi che non trovano fondamento sul pochissimo che si è ottenuto fino a questo momento e sul molto poco che si potrà prevedibilmente ottenere. Anche in questo caso bisogna identificare il vero interesse che risiede nella possibilità di modificare il genoma in un punto assai specifico, quello di quel singolo gene alterato in un soggetto portatore di una malattia genetica. Ciò rappresenta una domanda molto forte in situazioni, come quella dell’occidente, dove la grande contrazione della riproduzione ha portato al prevalere di famiglie con figlio unico. In questi casi l’investimento riproduttivo è talmente concentrato da determinare una forte domanda di salute del figlio ad ogni prezzo (del resto tutti i funambulismi della riproduzione assistita la dicono lunga su questo aspetto).

Dova va la genetica

In conclusione, la genetica di questa fine millennio si trova a doversi confrontare con una serie di problemi sia etici che filosofici. Il punto più caldo sembra quello che fa riferimento ad un gran classico della filosofia occidentale: quanto siamo liberi delle nostre azioni? Quanto è predeterminato il nostro destino? C’e chi, attribuendo alla genetica poteri che essa non ha e non avrà, ha addirittura auspicato (con soluzione da struzzi) che è meglio non procedere con la ricerca in genetica, meno si sa e meglio è. E c’e, all’estremo opposto, chi spera di migliorare con la genetica la specie umana, senza peraltro chiedersi non solo se ciò sia possibile, ma chi, eventuamente, debba decidere cosa sia meglio.
Speriamo che prevalga il saggio atteggiamento di comprendere cosa effettivamente può o non può dire la genetica: come si è visto essa può dire molto poco per quei caratteri comportamentali che più appassionano, molto di piu essa può dire su molti casi di specifiche malattie genetiche, ed in questo settore può essere molto utile. Qualcosa infine può dire per tutte le predisposizioni alle malattie di origine genetica, ma accanto all’interesse scientifico che tali ricerche possono avere, è assai poco probabile che esse possano trovare una specifica utilizzazione a livello individiale per la quasi universale distribuzione di tali suscettibilità.
L’anno 2000 è vicino ed il dibattito pubblico sembra in questo caso molto più che in altri assai arretrato. Forse un pezzo del terzo millennio, non piccolo, sarà ancora necessario.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here