L’oceano che circonda l’Antartide è popolato soprattutto dai nototenioidei, un particolare gruppo di pesci che si è adattato a vivere alle basse temperature presenti nel più ostile degli ambienti marini. Nel corso dell’evoluzione infatti, questo gruppo di animali ha sviluppato un particolare tipo di proteine chiamate “antigelo”, che impedisce al loro sangue di ghiacciarsi, salvandoli quindi dal congelamento quando le temperature scendono sotto zero, ma esponendoli al contempo ad altri tipi di pericoli. “L’adattamento è una storia di soluzioni e compromessi”, ricorda infatti Paul Cziko, uno degli autori di un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences che ha portato alla scoperta del “tallone d’Achille” di questi animali. Se da un lato le proteine antigelo permettono la sopravvivenza dei pesci nei mari antartici, dall’altra impedirebbero però lo scioglimento dei cristalli quando i nototenioidei nuotano in acque calde, con temperature superiori al punto di fusione del ghiaccio.
Lo scopo iniziale della ricerca, coordinata dall’ Università dell’Illinois, era quello di accertare in che modo i nototenioidei eliminano il ghiaccio presente nel loro organismo. I biologi infatti ipotizzavano che i cristalli si sciogliessero in estate, quando le acque dell’oceano Antartico sono relativamente calde. Il nuovo studio però ha permesso di scoprire che la realtà è ben diversa: il ghiaccio infatti resiste non solo all’estate antartica, ma anche riscaldato i pesci in laboratorio a temperature superiori a un grado centigrado. “Quello che abbiamo scoperto è che le proteine antigelo impediscono la fusione dei cristalli di ghiaccio. Sono quindi anche proteine anti-fusione – spiega Cziko – E potrebbe essere una conseguenza indesiderata dell’evoluzione delle proteine”. Indesiderata, sottolinea il ricercatore, perché potrebbe portare ad un accumulo di ghiaccio nell’organismo, con potenziali effetti nocivi ancora da studiare.
La studio non ha portato solo alla scoperta di possibili “effetti collaterali” dell’adattamento dei nototenioidei. Secondo Chi-Hing Christina Cheng, biologa a capo della ricerca, questi pesci potrebbero infatti rappresentare “il primo esempio di surriscaldamento del ghiaccio in natura”. Inoltre, conclude la ricercatrice, “lo studio si rivelerà di grande importanza e utilità per la comunità di ricercatori che sta studiando le risposte degli organismi ai cambiamenti climatici nel più freddo di tutti gli ambienti marini”.
Riferimenti: Pnas doi: 10.1073/pnas.1410256111
Credits immagine: Marrabbio2
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