Gli enigmi della scienza

Michael Brooks
13 cose che non hanno senso
Longanesi 2010, pp. 240, euro 18,60

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Le cose che non hanno senso sono quelle che hanno più senso. Può sembrare un’affermazione paradossale, eppure è proprio ciò che ci insegna la storia della scienza. Ce lo avevano già detto i filosofi, e in particolare Khun: sono i fenomeni che non trovano una spiegazione alla luce del modello dominante a innescare le grandi rivoluzioni scientifiche che trasformano in modo radicale la visione del mondo, portando all’evoluzione del sapere. Quando una serie incalzante di fatti non può essere compresa in base alle teorie esistenti s’impone un mutamento di paradigma, ossia il passaggio ad una diversa Weltanschauung, a una visione “altra” di ciò che ci sta intorno. Avviene allora qualche cosa di simile a quanto si verifica quando cambiamo le lenti a un paio di occhiali: magari continuiamo ad avere sotto gli occhi le stesse cose di un attimo prima, eppure le vediamo in modo diverso. Gli scienziati, però, non amano troppo cambiare le lenti ai propri occhiali. Preferiscono semmai ripararle, qualora se ne presenti la necessità. Detto fuori di metafora, quando un ricercatore trova qualche cosa che nella sua ottica non quadra tenderà ad apportare dei piccoli aggiustamenti alle proprie teorie piuttosto che cambiare completamente prospettiva. Ci sono dei casi, però, in cui i fatti che non quadrano sono davvero troppi e il passaggio a una nuova visione s’impone come un’improrogabile necessità. È allora che avviene una rivoluzione scientifica, o ciò che Khun definiva, più sobriamente, un mutamento di paradigma.

Ad accendere tredici potenziali micce di una rivoluzione prossima ventura è Michael Brooks, giornalista del New Scientist che per la sua abilità di divulgatore è stato paragonato dal New York Times a Stephen Gould. A me il saggio ha fatto piuttosto pensare a una versione moderna e divulgativa della “Critica della Ragion Pura” di Kant. Non che il libro abbia la stessa pesantezza, ben inteso, ma il modo in cui affronta i grandi interrogativi della scienza in relazione ai limiti del sapere umano e lo spirito con cui vengono riportate le diverse ipotesi su uno stesso fenomeno richiama da vicino la dialettica delle antinomie. Ciò vale soprattutto per il capitolo sul libero arbitrio, che ricorda da vicino la terza antinomia della ragione. Non a caso il filosofo di Königsberg viene citato da Brooks, che si avvale della sua cultura enciclopedica per spaziare con grande disinvoltura tra i riferimenti di diverse discipline.    

La lettura, è il caso di dirlo, è piacevole e scorrevolissima, per quanto ricca d’informazioni e talvolta impegnativa per chi non ha dimestichezza con le scienze dure. Le questioni che vengono affrontate sono di portata generale, possono interessare tutti e vanno dalla chimica alla filosofia, dalla medicina  alla fisica e l’astronomia. A ogni enigma viene dedicato un capitolo che può essere letto indipendentemente dagli altri, ma c’è un filo che lega i vari argomenti e la disposizione in un dato ordine non è casuale. In effetti, ciò che rende ancor più problematiche e affascinanti le domande a cui la scienza non sa dare una risposta è che sembrano in qualche modo rimandarsi l’una con l’altra. Il sesso, per esempio, che costituisce l’oggetto del decimo capitolo, potrebbe essere all’origine dell’evoluzione della morte su cui si sofferma il capitolo precedente: la presenza della vita su altri pianeti (cap. 6) potrebbe gettare luce sulla vita sul nostro pianeta (cap.5), che a tutt’oggi resta un enigma. Leggendo si ha l’impressione che i perché a cui la scienza a oggi non ha ancora trovato una risposta possano ricomporsi insieme come le tessere di un mosaico, che può rappresentare la rotta di un nuovo sapere. Insomma, per la scienza è arrivato il momento di scendere dal piedistallo e rimboccarsi le maniche. Se non vuole perdere credibilità deve smetterla di fare orecchie da mercante con i problemi che le si presentano e imparare a trarre profitto proprio dalle difficoltà, che sono il vero motore del progresso.  

Per quanto possa dispiacere ammetterlo, ci sono sfide che la scienza non ha saputo o voluto raccogliere, e che rimangono in piedi come i birilli del bowling quanto la palla slitta in corsia laterale. In effetti, per il tipo di lenti che indossiamo adesso ci sono dei fenomeni veramente difficili da osservare, e che non potremo continuare a lungo a ignorare. Mi riferisco, per esempio, alla materia oscura, qualche cosa che non possiamo vedere e che tuttavia dovrebbe costituire ben il 96 per cento del nostro universo. Insieme alle costanti variabili e alla fusione fredda è uno degli enigmi la cui soluzione potrebbe portare a una nuova formulazione dell’elettrodinamica quantistica. Il bello delle anomalie raccontate in questo libro è che sembrano prendere di mira proprio le teorie che sono più care alla scienza moderna: la gravitazione universale e la teoria dell’evoluzione. A mettere in bilico la legge di Newton è la famigerata materia oscura, che in base all’equazione di Einstein fa pendant con l’energia oscura. Le idee di Darwin, d’altra parte, non ci offrono alcuna spiegazione del perché della morte.

La questione più imbarazzante, comunque, resta quella del libero arbitrio. L’idea che possiamo scegliere le nostre azioni precede la nascita della scienza moderna e sembra rispondere a un bisogno umano profondo, anche se per la verità non è condivisa da tutte le popolazioni del mondo, e sembra essere piuttosto caratteristica del nostro Occidente. Il punto è che sin dalla fine degli anni Settanta le scoperte dei neuroscienziati sembrerebbero indicare che è il nostro cervello a decidere per noi. Gli esperimenti di Libet hanno fatto epoca. Applicando degli elettrodi ai polsi e al cuoio capelluto dei soggetti volontari, lo studioso scoprì che l’impulso cerebrale a compiere un’azione precede di circa 350 millisecondo l’intenzione consapevole. Fu una rivelazione. Da allora si sono accumulati diversi dati che sembrano fare breccia nella fortezza della coscienza. Ma c’è di più. Esiste perfino un gioco di prestigio, chiamato “stimolazione magnetica transcranica” che permette di far muovere un uomo come se fosse una marionetta, semplicemente – si fa per dire – manipolando le correnti elettriche nel suo cervello. Sembrerebbe insomma che l’idea tanto inveterata della libertà umana sia stata messa alle strette dal progresso della scienza. Rinunciarci, però, sembra difficile: quanti di noi sarebbero disposti a farlo? Probabilmente non lo sono gli scienziati, che per il momento non hanno affrontato di petto la questione. Cosi come non hanno affrontato il problema dell’effetto placebo, che sin dai tempi di Platone resta un mistero. Da una parte le sostanze che agiscono come placebo non contengono nessun principio che sia direttamente attivo sul sintomo, dall’altra la loro efficacia non può essere messa in dubbio.    

Siamo in un vicolo cieco? Nonostante le sue bacchettate, l’autore non cede a conclusioni pessimistiche. Innanzitutto i problemi che restano aperti, infatti, hanno molto da dirci sul modo in cui conosciamo le cose e quindi ci insegnano molto su noi stessi. E non è certo poco, se come scriveva Schrödinger nel 1951, la risposta alla domanda sul chi siamo “non è soltanto uno dei compiti, ma il compito della scienza”. In secondo luogo è proprio a causa degli interrogativi senza risposta che gli scienziati sono costretti, a un certo punto, a cambiare le proprie lenti e a vedere il mondo in un modo completamente diverso. È ciò che chiamiamo il progresso della scienza. Ed è proprio esprimendo una cauta fiducia nei confronti del progresso della scienza che Brooks chiude il libro dedicandolo ai giovani, che con i loro occhi vergini possono aiutarci a guardare le grandi questioni della scienza da un’ottica diversa.  

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