Gli Ogm sono davvero pericolosi?

Francesco SalaGli Ogm sono davvero pericolosi?Laterza, 2005pp.158, euro 10,00Combattere l’oscurantismo e il timore del pubblico nei confronti della scienza è uno dei compiti più difficili per i ricercatori e che si occupano di comunicazione scientifica. Tuttavia, il facile ottimismo è davvero il modo migliore per modificare i sentimenti diffusi nell’opinione pubblica? Francesco Sala purtroppo sceglie questa via. Convinto sostenitore dell’utilizzo di organismi geneticamente modificati in campo agroalimentare e industriale, ha scritto un lungo pamphlet che intende smontare molti luoghi comuni dell’ambientalismo più becero. Ci riesce, in parte, ma conferma anche i luoghi comuni sulla scienza e sugli scienziati, sempre più percepiti come “sacerdoti” a difesa di un dogma incrollabile, a cui affidarsi fideisticamente.Sala muove sicuramente delle argomentazioni efficaci: in effetti, non vi sono prove di pericoli per la salute umana derivanti dagli Ogm, e sono discutibili anche le evidenze dell’influenza sull’ambiente che avrebbero le coltivazioni gm. Ed è anche vero che non esistono tecnologie a rischio zero: invocare un’interpretazione molto severa del principio di precauzione appare fuori luogo, perché ben altri sarebbero le questioni da affrontare (il trasporto a benzina e gasolio, per esempio). Però perché far finta che i rischi non esistano? Lo stesso Sala ammette che gli Ogm immessi nell’ambiente sono di per sé poco controllabili, perché il trasferimento genico orizzontale – con passaggio diretto di geni tra diverse specie – è qualcosa di assolutamente usuale in natura (p.16). In questo caso, ragionare su studi comunque limitati e tendenzialmente irrilevanti sulla scala temporale evolutiva appare poco probante. L’autore disegna un futuro in cui gli Ogm saranno a disposizione di tutti per aiutare a risolvere i problemi ambientali e alimentari del mondo intero, in particolare riducendo l’uso di sostanze chimiche e aumentando la produttività agricola. Tuttavia, il passato – prossimo e remoto – fa vedere altre cose: la Rivoluzione Verde negli anni Sessanta non solo ha sostanzialmente fallito l’obiettivo, ma ha aumentato la dipendenza economica dei paesi in via di sviluppo; e a oggi la vasta maggioranza delle varietà di piante geneticamente modificate coltivate non sono legate direttamente alla maggiore produttività. Piuttosto, anche quando sembrano portare all’aumento delle rese, sono legate a interessi commerciali decisamente poco umanitari: scrive lo stesso Sala che l’85 per cento della soia gm coltivata è studiata per resistere agli erbicidi (in totale, il 70 per cento (((http://www.isaaa.org/kc/CBTNews/press_release/briefs32/figures/dominant_crops.jpg)))) delle coltivazioni GM è di questo tipo). Ciò aumenta in parte la produttività sul breve periodo, ma aumenta anche i trattamenti chimici sopportabili dalla pianta, favorendo così l’aumento della resistenza degli infestanti (come è normale aspettarsi). Come si può poi sperare che l’uso degli Ogm diventi improvvisamente a favore dei paesi poveri, senza modificare l’attuale assetto economico-brevettuale? È questo stesso assetto, infatti, che sta spingendo allo smantellamento della ricerca pubblica: chi dunque farà ricerca senza interessi commerciali? Forse è questo che intende l’autore quando scrive che la “scienza a volte è scomoda, soprattutto se urta contro forti interessi politici ed economici.” (p.74) In fondo molti si dichiarano a favore dell’accessibilità ai farmaci da parte delle popolazioni di tutto il mondo, la realtà, come sappiamo, però è ben diversa. Perché per gli Ogm dovrebbe andare in modo diverso?Sala si spinge fino a scrivere, per ben due volte, che “sono in fase avanzata si sperimentazione piante che producano vaccini contro malattie infettive e tumori”, tra cui cita esplicitamente l’Aids. Prima di pubblicizzare l’avvento di un vaccino dentro una pianta, non sarebbe più opportuno aspettare che il vaccino contro l’Hiv sia effettivamente pronto? Che siano questi gli atteggiamenti degli scienziati – alimentare false speranze, negare i rischi, estraniarsi dalla realtà sociale – che hanno generato la sfiducia nei confronti della ricerca scientifica?

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