Categorie: Società

Global innovation index, l’Italia galleggia sul fondo

Centri di ricerca poco produttivi, pressione fiscale eccessiva  e scarsa competitività commerciale fanno dell’Italia un modello da dimenticare. E’ il panorama tracciato dal Global Innovation Index (Gii), il rapporto che ogni anno stila una classifica tra 125 nazioni di tutto il mondo in materia di innovazione e sviluppo economico. E da cui si evince come il nostro paese proceda a zig zag nelle zone basse della graduatoria. Situato quest’anno al 35° posto della classifica generale, era al 38esimo l’anno passato, ma al 31° nel 2009. E comunque resta lontano anni luce dalla coppia Svizzera Svezia, i primi della classe nel campo dell’innovazione. Insomma, un’Italia che cerca di rimanere a galla, nonostante la pesante zavorra che la tira verso il fondo.

Il documento, pubblicato dalla Business School internazionale Insead, dimostra ancora una volta che il sistema Italia non può ripartire senza aver prima dimostrato di voler cambiare. Gli altri paesi d’Europa – collocati per la maggior parte entro le prime 30 posizioni – hanno già capito che la ricetta per il successo prevede di iniettare nuova linfa nella propria economia di mercato. Parola d’ordine del tutto disattesa dall’Italia, come dimostrano i pessimi punteggi totalizzati nelle 5 categorie (istituzioni, capitale umano e ricerca, infrastrutture, accesso al credito e mercato degli investimenti) considerate dal Gii.

Procedendo nell’ordine, il primo dato negativo con cui il nostro paese si trova a fare i conti riguarda il regime fiscale imposto alle imprese. Lo stivale si posiziona tra i peggiori paesi in assoluto, sprofondando al 119° posto. Ma a far ristagnare il business privato contribuiscono anche gli eccessivi costi per l’avvio di una nuova attività imprenditoriale (86° posto) e la rigidità delle regole che controllano il mercato del lavoro (84°). Altro record negativo per quanto riguarda la presenza di modelli di business orientati al mercato tecnologico (81°).

Con il settore del capitale umano e della ricerca si apre un altro capitolo nero del sistema Italia. Il paese è infatti al 53° posto per quanto riguarda i finanziamenti alla scuola pubblica. Una scelta infelice che si ripercuote fino all’apice del percorso educativo nazionale, visto che la penisola si colloca tra le posizioni 49 e 47 per quanto riguarda, rispettivamente, qualità dell’educazione superiore – universitaria e competitività del settore ricerca e sviluppo.

Come se non bastasse, il settore delle infrastrutture registra alcuni dei picchi negativi più preoccupanti del paese. La nostra Pubblica amministrazione non brilla quando si tratta di valutare l’apertura verso le nuove tecnologie digitali, soprattutto per quanto riguarda i servizi online rivolti ai cittadini (80° posto). Anche sul piano ambientale, l’Italia soffre a causa di due profonde ferite: il 5,9% di energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili fa scivolare il paese al 64° posto, mentre le colate di cemento abusivo fanno sprofondare il valore complessivo dell’impronta ecologica al 107°.

Sulle voci che comprendono accesso al credito e mercato degli investimenti, l’Italia non poteva che comportarsi come nei settori precedenti. La scarsa presenza di leggi a difesa dei contraenti di debiti ci condanna alla 97° posizione nella tutela dei diritti di chi richiede prestiti alle banche. Inoltre, la scarsa capitalizzazione del mercato (un 5,8% che equivale al 79° posto) sembra tenere alla larga i venture capitalist dallo Stivale (62°) o dal comprare materie prime e prodotti d’esportazione (95°). Pessime prestazioni anche per quanto riguarda la ricerca svolta o finanziata da ditte private (32° e 37° posto), il grado di collaborazione con le università (63°) e l’attrazione di fondi di ricerca dall’estero (27°).

Nel complesso, lo scenario tracciato dal Gii sembra non lasciare molte vie di uscita. C’è solo un settore dell’innovazione che resiste in modo egregio: la qualità delle esportazioni di beni ad alto contenuto creativo, che assicura al paese il 6° posto in classifica.

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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