Neuroscienze, la nuova big science

(Credits: ZEISS Microscopy/Flickr CC)

Il cervello è di gran lunga l’organo più complesso e meno conosciuto del corpo umano; per questo la sua conoscenza costituisce una delle più grandi sfide scientifiche presenti e future. Lo sanno bene gli scienziati, e non solo quelli che si occupano di neuroscienze, ma è chiaro anche ai governi di tutto il mondo, come testimoniano le ingenti risorse che negli ultimi anni sono state destinate alla ricerca in questo campo. Due i progetti più ambiziosi: lEuropean Human Brain Project e l’americana BRAIN Initiative, di entrambi si è parlato durante il Forum delle Neuroscienze che si è tenuto presso l’Accademia dei Lincei a Roma.

BRAIN è un progetto di ricerca multidisciplinare avviato dall’Amministrazione Obama e finanziato da agenzie federali, fondazioni private e aziende come Google e Facebook. Ispirato allo Human Genome Project, ha tre obiettivi principali: lo sviluppo di tecniche per misurare l’attività dei circuiti neuronali del cervello di un piccolo animale o di una parte del cervello di un paziente affetto, per esempio, da epilessia; lo sviluppo di tecniche per manipolare l’attività di questi circuiti con lo scopo di curare i pazienti affetti da malattie mentali o neurologiche; lo sviluppo di metodi computazionali più sofisticati. “Per oltre un secolo abbiamo studiato un solo neurone alla volta; la tecnologia non ci consentiva di più, per questo le nostre conoscenze sono limitate”, ha spiegato Rafael Yuste, professore di scienze biologiche e neuroscienze alla Columbia University, uno dei promotori del progetto. Tuttavia, nuovi strumenti hanno rivelato che insiemi di neuroni, piuttosto che singole cellule, possono formare unità fisiologiche e generare ciò che gli scienziati definiscono proprietà emergenti. “È come provare a seguire un film osservando un pixel alla volta sullo schermo. Non si può comprendere una scena in questo modo. Per decifrare un’immagine è necessario visualizzare contemporaneamente molti pixel”, ha proseguito Yuste. Un modo per registrare come agiscono insieme molti neuroni è costituito dalle tecniche ottiche che, combinate con l’ingegneria genetica (optogenetica) o composti chimici (optochimica), possono anche essere utilizzate per attivare i neuroni a distanza e fornire strumenti per individuare trattamenti per alcune malattie neurologiche.

L’ottimismo di Rafael Yuste deriva anche dal successo conseguito dal suo laboratorio: il ricercatore spagnolo è riuscito a misurare l’attività di tutti i neuroni di un esemplare di Hydra vulgaris, un invertebrato d’acqua dolce che ha dai 200 ai 2000 neuroni mentre altri colleghi dell’Howard Hughes Medical Institute’s Janelia Farm Research Campus, in Virginia, sono riusciti a mappare quasi completamente l’attività cerebrale della larva del pesce zebra. A preoccupare Yuste piuttosto è l’assenza di coordinamento del progetto BRAIN. Da qui la sua proposta di creare degli “Osservatori del Cervello’’, sul modello di quelli astronomici, dove si possano concentrare le tecnologie più costose e ambiziose, sfruttando in modo ottimale i successi e la creatività dei singoli laboratori coinvolti nel progetto. L’integrazione delle conoscenze prodotte dalla comunità scientifica e medica costituisce l’obiettivo dell’European Human Brain Project (HBP). Uno sforzo internazionale teso a integrare questi dati in un quadro unitario del cervello come sistema a più livelli, contribuendo al progresso delle neuroscienze, della medicina e allo stesso tempo a porre le basi tecniche per un nuovo modello di ricerca sul cervello basato su piattaforme ICT. Tuttavia, nel luglio del 2014 un gruppo di neuroscienziati ha pubblicato una lettera aperta indirizzata alla Commissione Europea per contestare il management e gli obiettivi scientifici del progetto, chiedendo una riallocazione dell’enorme quantità di fondi a esso destinati. In particolare, secondo gli oppositori, il focus del progetto era troppo orientato sugli aspetti informatici mentre si deve ancora capire come funziona veramente il cervello, per cui sarebbe necessario indirizzare i fondi anche verso altri campi di ricerca, come quelli riguardanti gli aspetti biologici e cognitivi. La protesta è montata a tal punto che a marzo 2015 è iniziato un processo di mediazione per affrontare le critiche degli scienziati. Il risultato è che adesso lo HBP è in fase di riorganizzazione e la forma e direzione futura del progetto sono in continuo mutamento.

Lo HBP è articolato in tredici sottoprogetti, tra i quali lo sviluppo di sei piattaforme ICT, che dovrebbero consentire una collaborazione e condivisione dei dati su larga scala, una ricostruzione del cervello ai differenti livelli biologici, l’analisi dei dati clinici per identificare le diverse malattie del cervello e lo sviluppo di sistemi di calcolo brain-inspired. Al Forum, a illustrare gli obiettivi della Medical Informatics Platform (MIP) è intervenuto Ferath Kherif, vice direttore del laboratorio di ricerca in neuroimaging del dipartimento di neuroscienze cliniche del Centre Hospitalier Universitaire Vadois di Losanna, in Svizzera, nonché direttore della MIP. “Il primo obiettivo è quello di federare i dati clinici di ospedali e centri di ricerca, in modo da renderli disponibili attraverso la piattaforma. La MIP, poi, dovrebbe fornire gli strumenti per interrogare e analizzare questi dati, senza compromettere la privacy dei pazienti. Lo scopo è quello di identificare le firme biologiche di specifici processi patologici”, ha spiegato Kherif. Questo lavoro porterebbe a una nuova classificazione nosologica, basata sulle disfunzioni biologiche piuttosto che sui sintomi, consentendo di sviluppare trattamenti personalizzati. I risultati aiuterebbero i ricercatori a verificare ipotesi sulle cause delle malattie nonché a identificare nuovi bersagli farmacologici o altri possibili trattamenti e a simulare gli effetti desiderati o avversi.

Se la big science raggiungesse i suoi obiettivi, cominceremmo a decifrare ciò che Santiago Ramón y Cajal, padre delle moderne neuroscienze, definì come una “giungla impenetrabile”.

Credits immagine:NICHD/Flickr CC

 

1 commento

  1. Data 17/03/2016. Sono solo uno studioso dilettante da sempre interessato al cervello.
    Partiamo da una premessa semplificata:
    Il cervello può essere assimilato ad un gigantesco computer biologico,
    Nei computer elettronici normali il funzionamento è basato sui transistor ossia su sistemi di semiconduttori “drogati” in grado di svolgere amplificazioni, elaborazioni, memorizzazioni di informazioni. Tali transistor aggregati e organizzati a milioni costituiscono insiemi “quasi pensanti”.
    Hanno tuttavia bisogno di una fonte di alimentazione esterna. La Natura, invece, ha integrato nel CHIP anche il generatore di energia. Come se nel “Pentium” fosse integrata anche la pila. E’ STUPEFACENTE!
    Ma, ancora più INCREDIBILE, la sorgente di alimentazione sembra essere NUCLEARE.
    Nel mio sito accessibile digitando il mio nome vittorio d’Ascanio espongo delle idee in merito.
    In sostanza nei transistor che formano il chip biologico costituito dalle cellule nervose, le diverse leghe di “silicio drogato” sono sostituite da isotopi di atomi normalmente usati nelle cellule: sodio, potassio, magnesio ecc. Tali isotopi con TRASMUTAZIONI NUCLEARI (fenomeni Kervran), formano le GIUNZIONI dei transistor biologici AUTOALIMENTATI dalle reazioni medesime. Maggiori informazioni sul mio sito.

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