Primati, nei gruppi aggressivi si cresce più in fretta

(Creditis: via Pascale Sicotte — University of Calgary)
(Creditis: via Pascale Sicotte — University of Calgary)
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Pascale Sicotte — University of Calgary)

L’eventualità di un infanticidio non è poi così rara in molti gruppi di mammiferi: è stato osservato infatti nei leoni, nei topi, negli orsi e in molti primati. È proprio su questi ultimi, in particolare sul colobo ursino (Colobus vellerosus), una scimmia appartenente alla famiglia dei Cercopitecidi e diffusa nelle foreste dell’Africa occidentale, che si sono concentrate le ricerche di Iulia Bădescu, antropologa evoluzionista dell’Università di Toronto, e Pascal Sicotte, antropologo dell’Università di Calgary.

Lo studio è stato pubblicato nel numero di aprile di Animal Behaviour. Iulia Bădescu e il suo team hanno osservato per otto anni nove diversi gruppi di colobi selvatici presso il Boabeng-Fiema Monkey Sanctuary in Ghana, riscontrando un diverso tasso di crescita dei piccoli a seconda dell’aggressività dei maschi presenti nei gruppi, come ci ha raccontato.

Il vostro studio ha preso in considerazione diversi gruppi di colobo ursino. Questi gruppi sono tutti uguali dal punto di vista della struttura sociale?
“I colobi ursini possono vivere in gruppi con un solo maschio e molte femmine o in gruppi con molti maschi e molte femmine. Nei gruppi con molti maschi la probabilità che si verifichi un infanticidio è maggiore, perché c’è più competizione: i maschi lottano sempre per acquisire lo status di maschio alpha, modificando continuamente la gerarchia di dominanza. Quando un maschio riesce a diventare alpha, uccide i piccoli perché potrebbero essere i figli del maschio che ha battuto. Inoltre, gruppi con molti maschi potrebbero invogliare alla competizione altri maschi esterni al gruppo. Se dall’esterno arriva un maschio molto forte, che scaccia tutti gli altri, potrebbe diventare il leader del gruppo e uccidere i piccoli di tutti gli altri maschi. I gruppi più stabili sono quelli in cui c’è un unico maschio alpha, in grado di proteggere le femmine e i piccoli da intrusioni esterne”.

L’infanticidio può essere evitato? C’è qualche forma di cooperazione tra i membri del gruppo per proteggere i piccoli?
“Sì, i membri del gruppo possono formare coalizioni per scacciare i maschi aggressivi e difendere i piccoli. Questo rende l’atto dell’infanticidio un ‘gioco pericoloso’ per il maschio aggressivo. Non è facile uccidere un cucciolo perché gli altri membri del gruppo combatteranno gli attacchi, quindi l’aggressore dovrà cercare di attaccare quando tutti sono distratti o quando il piccolo è da solo. Per esempio, ho assistito a un infanticidio avvenuto quando il piccolo era stato lasciato alle cure di un fratello più grande mentre la madre era impegnata a nutrirsi altrove. Il maschio aggressivo ha visto in questo comportamento una buona chance per attaccare, perché il cucciolo era più vulnerabile”.

Quali parametri avete preso in considerazione per misurare lo sviluppo dei piccoli?
“Misurare la crescita dei cuccioli nei primati selvatici è difficile, perché non è etico catturare e pesare (o misurare) gli animali. Queste scimmie sono una specie minacciata e cerchiamo di infliggere loro meno stress possibile. Per fortuna, in questa specie, i piccoli nascono con una livrea differente da quella degli adulti. Con la crescita, infatti, questa livrea passa da bianca, a grigia, a nera e bianca nel corso dei mesi. Quindi abbiamo misurato la crescita dei cuccioli in modo non invasivo, proprio attraverso i cambiamenti della livrea”.

Da cosa è scatenata questa crescita rapida? È indotta dallo stress o ci sono altre cause?
“Gli studi sul latte materno svolti negli ultimi dieci anni hanno fornito una valida spiegazione allo sviluppo più rapido di quei piccoli soggetti a una maggiore pressione infanticida. Ora sappiamo che il latte materno fornisce al cucciolo molto di più di una semplice nutrizione. La madre trasferisce alcuni ormoni con l’allattamento ed è possibile che, quando le madri sono più stressate da un’elevata pressione infanticida, rilascino nel latte più cortisolo, l’ormone dello stress: questo passa al piccolo e potrebbe dare il via a uno sviluppo più rapido. Le madri potrebbero inoltre aggiustare la ricchezza dei micronutrienti nel latte in accordo con le necessità del cucciolo, come è stato dimostrato da Katie Hinde, biologa evoluzionista dell’Università di Harvard, nei macachi. Per esempio, per far crescere più in fretta i cuccioli maschi ed evitare gli infanticidi (i maschi sono più a rischio delle femmine), le madri potrebbero avere un latte più ricco, con maggiori quantità di grassi o proteine, in modo da assicurare uno sviluppo più rapido. Ma potrebbero anche entrare in gioco meccanismi comportamentali: le madri sotto pressione potrebbero svezzare prima i piccoli, e uno svezzamento più rapido potrebbe accelerare la crescita, portando così ad evitare gli infanticidi. Tuttavia al momento tutto questo è abbastanza speculativo, servono ulteriori studi per chiarire meglio le varie cause”.

Riferimenti: Animal Behaviour doi:10.1016/j.anbehav.2016.02.013

Articolo prodotto in collaborazione con il Master Sgp della Sapienza Università di Roma

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