Giulietto Chiesa
La guerra infinita
Feltrinelli, maggio 2002
pp. 177, euro 9,00
“L’11 settembre siamo entrati nell’era dell’Impero. E l’Impero ha deciso di entrare in guerra. Tra le due cose c’è una quantità di nessi da scoprire, nessuno dei quali immediatamente evidente. Ma individuarli, rispondere a tutta una serie d’interrogativi che si affollano nelle menti di molti, riuscire a smorzare lo stupore per eventi che accadono in rapida successione, placare inquietudini e angosce: tutto questo richiede nuovi sforzi”. È questo l’incipit dell’ultimo libro di Giulietto Chiesa. La strada scelta dall’autore è lontana dalle spiegazioni consuete, indicate dal “sistema mediatico mondiale”, perché “sarebbe una strada inutile. Queste strade sono quasi tutte fallaci” (p. 7). La pazienza e l’abilità di Chiesa guidano il lettore attraverso le strade secondarie – ma non troppo – del post 11 settembre.
La nuova, inedita, guerra planetaria non è una lotta per il controllo delle risorse; non mira all’estensione del controllo geopolitico, anche se dopo ogni guerra, quel che resta sul campo sono le basi militari nei territori “pacificati”. Queste erano caratteristiche delle guerre precedenti, condotte da potenze economiche e militari in lotta tra di loro. Adesso non ci sono più potenze, poiché ce n’è una sola, l’Impero. Che non coincide con gli Stati Uniti d’America, sebbene in esso la quota statunitense sia maggioritaria e decisiva. Secondo Chiesa, fanno parte dell’Impero “i veri potenti della Terra, non importa dove vivano, visto che hanno tutti gli stessi standard, s’incontrano negli stessi posti, fanno studiare i loro figli nelle stesse università (…). E non sono necessariamente i governanti dei vari Paesi”. Questa ‘super società globale’ che sta nascendo è composta da circa 80-100 milioni di persone. Per l’Impero è fondamentale possedere una moneta di riferimento dominante, applicare ovunque i principi del “turbocapitalismo” (espressione sprezzante di Edmund Luttwak, non certo un liberal americano), avere la facoltà di imporre a piacimento uno stato di crisi in qualunque area del pianeta.
Alcuni di questi concetti sono stati recentemente affermati nella nuova dottrina strategica statunitense. Ma sono altri, e se possibile, ancora più preoccupanti, i punti affrontati da questo libro ben documentato e polemico.Su tutti, la questione dei mezzi di comunicazione. Secondo Chiesa, giornalista di professione, il sistema mediatico è “l’ostacolo che si frappone tra noi e la realtà, al punto che spesso all’uomo della strada non è più dato percepirla e capirla”. Un sistema che, nel migliore dei casi, “è affetto da amnesia totale o parziale”, incapace di offrire ai propri cittadini qualcosa di più e di diverso dalla versione ufficiale, qualcosa di più corposo della verosimiglianza”, un sistema emotivo al punto di perdere completamente lucidità e autonomia di giudizio. Nonostante il fatto che nella guerra afgana siano morti più giornalisti (sette) che soldati americani (due), Chiesa sferra un attacco frontale al mondo dei media: la prima, come abbiamo detto, è la denuncia dell’intima connivenza con il potere “imperiale”; la seconda è la critica feroce del nuovo modello di giornalismo che si è affermato in questi anni, il cosiddetto infotainment, un giornalismo innocuo che si alimenta di notizie di intrattenimento, le soft news, per tramutarsi all’occasione in un “business dello scoop”, vero o pilotato che sia.
Leggendo il libro di Chiesa viene in mente ciò che scriveva Pasolini nel 1974, parole che potrebbero essere l’epitaffio di un giornalismo di inchiesta ormai perduto: “Io so. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.