Chiara Lalli
Dilemmi della bioetica
Liguori Editore 2007, pp.240, euro 17,00
L’ultimo libro di Chiara Lalli potrebbe sottotitolarsi: “una guida alla bioetica per persone razionali”. Perché si tratta di una serie di dimostrazioni pratiche di come si argomenta razionalmente, vale a dire rispettando la coerenza logica e allo stesso tempo ricercando soluzioni condivise, nei diversi ambiti della bioetica. Dal testamento biologico/eutanasia, agli Ogm, dalla terapia genica alla clonazione, dai trapianti alla fecondazione assistita, ecc. A dimostrazione del fatto che un approccio non religioso non è carente in valori e regole limitative, nel libro viene chiaramente illustrato anche quali conseguenze tragiche si possono produrre argomentando a partire da premesse sbagliate. Come erano quelle utilizzate dalle dottrine eugeniche per giustificare le discriminazioni, le coercizioni e le torture di Stato sul piano delle opzioni riproduttive, dei trattamenti medici o del diritto a non essere ucciso a causa delle proprie condizioni fisiche e mentali.
Praticamente da quando l’essere umano usa il linguaggio, e come illustrano bene tutti i manuali di retorica, per essere efficace l’argomentazione deve concretamente, cioè non solo astrattamente, dimostrare la sua validità. E di conseguenza far uso di casi o esempi a cui una specifica argomentazione si applica. In questo senso il libro di Chiara Lalli è praticamente costruito intorno a casi, anche perché oltre che rispondere meglio al tipo di analisi bioetica che predilige l’autrice, alla fine i casi sono l’alfa e l’omega dell’etica applicata. E la bioetica è una forma particolare di etica applicata. Chiara Lalli non ha fatto in tempo a far entrare i casi di Piergiorgio Welby e di Giovanni Nuvoli, che hanno recentemente costretto le istituzioni e i cittadini italiani a confrontarsi con l’esigenza di consegnare nelle mani dei diretti interessati le scelte di fine vita. Ma nel capitolo sull’eutanasia sono enucleati gli argomenti cari a Piergiorgio Welby che rivendicava il diritto di rifiutare una trattamento che lo teneva in vita e lo faceva soffrire inutilmente.
Nel libro però sono sottovalutate le intuizioni morali nelle decisioni. Di fatto è difficile far comprendere quanto le intuizioni morali tendano a farci decidere in modo irrazionale nelle situazioni artificiali in cui oggi ci troviamo. Le nostre idee del bene e del male o del giusto e dell’ingiusto si sono selezionate per sopravvivere nella savana del Pleistocene. E certamente non sono molto affidabili in un letto d’ospedale o per relazionarsi con un’istituzione sanitaria. Nondimeno è necessario un intenso addestramento, che non è accessibile a tutti, per non decidere solo sulla base delle intuizioni morali, ma anche usando il ragionamento logico. Se anche in Italia si vuole assistere a un miglioramento della discussione bioetica, soprattutto per quanto riguarda la capacità di far accettare come moralmente validi a livello più generale gli atteggiamenti laici e non confessionali, bisogna trovare il modo di far ricorso anche alle intuizioni morali nella elaborazione e comunicazione delle argomentazioni che mirano a promuovere l’autodeterminazione nella soluzione dei dilemmi bioetici.
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