Guidoni: “Così la Nasa vuole andare su Marte”

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Con gli occhi del mondo puntati su Marte ad ammirare le imprese della sonda Pathfinder e del piccolo robot mobile Sojourner, ci si comincia a domandare quando potremo vedere immagini di astronauti che passeggiano sul suolo polveroso del Pianeta Rosso. Il grande interesse suscitato potrebbe indurre la Nasa a rilanciare l’esplorazione umana del nostro Sistema solare, rispolverando magari qualcuno dei progetti nel cassetto. Anche alla luce delle importanti scoperte degli ultimi anni, che hanno fornito indizi importanti sulla possibilità dell’esistenza di vita extraterrestre, la presenza dell’uomo potrebbe risultare importante per la ricerca di forme di vita su altri pianeti, a cominciare, ovviamente, proprio da Marte.

Diretto per Marte

Secondo uno dei progetti più accreditati, si potrebbe arrivare su Marte in tempi relativamente brevi, utilizzando lanciatori derivati da vettori come il Saturn V o il russo Energia. Per far questo bisogna abbandonare l’approccio tradizionale – secondo cui tutto il necessario per il viaggio e la permanenza dell’equipaggio deve essere portato dalla Terra – per abbracciare un punto di vista più innovativo, che prevede l’uso di materiale disponibile sulla superficie di Marte. Secondo questo approccio – denominato Mars Direct – già alla fine del prossimo decennio, tre razzi del tipo Saturno VI potrebbero essere lanciati dalla base di Cape Kennedy.

Raggiunta la quota stabilita, le tre navi cargo saranno in grado di inserirsi direttamente in un’orbita di trasferimento verso Marte, grazie alla spinta fornita dai motori di apogeo di tipo nucleare. Utilizzando la rarefatta atmosfera per rallentare la sua corsa, la prima nave, che trasporta il veicolo per il viaggio di ritorno dell’equipaggio verso la Terra, entrerà in orbita intorno al Pianeta Rosso.

Anche la seconda nave si metterà in orbita marziana ma, questa volta, verrà rilasciato un modulo che inizierà la discesa verso la superficie del pianeta con l’ausilio di grandi paracaduti e di motori a razzo. A bordo del modulo di discesa ci sarà un veicolo pressurizzato, che sarà usato per il trasferimento dell’equipaggio, dalla superficie del pianeta, all’orbita di parcheggio del veicolo di ritorno. Secondo il progetto, il veicolo pressurizzato arriverà con i serbatoi vuoti: il combustibile necessario verrà prodotto direttamente su Marte. A bordo del modulo di discesa ci saranno, infatti, anche alcune tonnellate di idrogeno liquido, un reattore nucleare da 150 chilowatt e un impianto chimico automatico per la produzione dell’ossigeno e del metano, gli elementi necessari per il funzionamento dei tre motori del modulo di risalita.

La terza nave da trasporto conterrà anch’essa un veicolo che effettuerà un atterraggio morbido sul suolo marziano, nel sito dove è atterrato il carico precedente. In questo caso, il payload è un modulo abitativo che funge anche da laboratorio. Il modulo abitativo, che sarà fornito di un secondo generatore nucleare, potrà contenere cibo e generi di prima necessità e rappresenterà la prima base di appoggio sulla superfice marziana.

Due anni dopo, all’apertura della seconda finestra di lancio, verranno lanciati altri tre razzi, ma con una sostanziale differenza: a bordo del terzo ci sarà una nave passeggeri con sei uomini di equipaggio. Entrambe le navi cargo conterranno carichi molto simili a quelli lanciati due anni prima e rappresenteranno un elemento di ridondanza: con un secondo modulo in orbita marziana e con un secondo veicolo per la risalita dalla superficie del pianeta, si riducono sensibilmente i rischi per i primi esploratori di Marte.

La terza nave, con gli astronauti a bordo, lascerà l’orbita terrestre su una traiettoria di trasferimento rapido verso Marte e, dopo un viaggio di circa 180 giorni, dovrebbe arrivare alla meta, con ben due mesi di anticipo sull’arrivo delle due navi da trasporto partite in precedenza.

Durante il viaggio, gli astronauti saranno alloggiati in un modulo identico a quello che è stato inviato sulla superficie marziana due anni prima. Progettato per essere riutilizzato anche sulla superficie come abitazione e laboratorio, questo modulo conterrà i sistemi vitali per l’equipaggio e, nella sua parte inferiore, porterà un mezzo pressurizzato per muoversi sul suolo marziano. Inserendosi direttamente in una traiettoria di discesa, il veicolo pilotato sarà in grado di atterrare nelle vicinanze della zona esplorata dalla missione robotizzata.

L’equipaggio rimarrà sulla superficie per circa un anno e mezzo, per poter effettuare il viaggio di ritorno quando Marte è in congiunzione rispetto alla Terra (una traiettoria che permette di ritornare in circa sei mesi, lo stesso tempo impiegato per il viaggio di andata). Alla fine della permanenza sul suolo marziano la crew utilizzerà il modulo di ascesa per raggiungere l’orbita intorno a Marte ed effettuare l’aggancio con il veicolo designato per il rientro nell’orbita terrestre. Come per il viaggio di andata, gli astronauti vivranno in un modulo abitativo del tutto simile a quello lasciato su Marte. Durante gli oltre 500 giorni passati sulla superficie del pianeta, i primi esploratori potranno effettuare una vasta ricognizione dell’area attorno alla zona di atterraggio.

Per il rientro nell’atmosfera terrestre, ultimo tratto del ritorno, verrà utilizzata una capsula tipo Apollo, provvista di scudi termici per proteggersi dal grande calore generato nella prima fase di rientro e di un parafoil, gestito da computer, che permetterà un atterraggio controllato presso il Kennedy Space Center, lo stesso da dove è iniziato il lungo viaggio, durato complessivamente quasi tre anni.

Un nuovo approccio

Un altro dei progetti in fase di sperimentazione, che si distingue per l’approccio rivoluzionario e per l’uso di tecnologie innovative, viene sviluppato proprio a Houston, presso il Johnson Space Center – il centro dove si svolge l’addestramento degli equipaggi dello Space Shuttle.

Nel Laboratorio di Propulsione Spaziale Avanzata della Nasa si sta tentando di realizzare un motore capace di utilizzare, come combustibile, un gas di idrogeno ad altissima temperatura. Con temperature così elevate, che sono paragonabili alle condizioni che si hanno all’interno del Sole, non si può più parlare di gas ordinario, ma piuttosto di un plasma – una condizione molto particolare della materia in cui gli atomi sono dissociati in elettroni e ioni. Il plasma deve essere tenuto lontano dalle pareti del motore utilizzando un potentissimo campo magnetico che viene usato, anche, per controllare il flusso verso l’ugello di uscita e quindi in definitiva la spinta finale. Grazie alla possibilità di ottimizzare la spinta secondo le condizioni di volo, un razzo dotato di un motore a plasma potrebbe arrivare su Marte in meno di tre mesi.

Naturalmente il motore è solo uno degli aspetti. Qualsiasi missione di esplorazione del Pianeta Rosso richiede la messa a punto di uno scenario complesso, analogo, pur se sensibilmente diverso, dall’approccio del progetto Mars Direct.

Innanzitutto, il progetto prevede l’uso di due veicoli diversi. Per primo, verrebbe lanciato da Terra un razzo cargo, più lento, ma capace di trasportare la maggior parte del carico per il solo viaggio di andata. Un veicolo di questo tipo, con una capacità di carico di circa il 70%, impiegherebbe circa sei mesi per raggiungere Marte.

A bordo del razzo ci sarà un modulo di discesa – o lander – che porterà il primo carico utile sulla superficie marziana. Il carico sarà composto da un modulo abitativo provvisto di cibo e generi di prima necessità. Sarà la prima base di appoggio sulla superfice marziana e potrà fungere anche da laboratorio per le attività di ricerca. Il payload comprenderà anche un reattore nucleare, per far funzionare il primo avamposto abitato, un veicolo per l’esplorazione della zona di atterraggio e diverse tonnellate fra parti di ricambio, combustibile e materiale di consumo. Il modulo di discesa sarà in grado di effettuare un atterraggio automatico sul suolo marziano con l’ausilio di grandi paracaduti, per frenare la velocità iniziale, e di motori a razzo per controllare la discesa finale verso il sito prescelto.

Il resto della nave cargo rimarrà in orbita in attesa dell’arrivo della “nave da crociera” con a bordo l’equipaggio. Gli astronauti cominceranno il loro viaggio dalla Stazione spaziale. La nuova tecnologia può funzionare solo nello spazio, e l’astronave dovrà utilizzare la stazione come porto di imbarco. Grazie alla spinta del suo motore a plasma, la nave sarà in grado di accelerare progressivamente per la prima metà del viaggio, per poi cominciare a decelerare per il resto del percorso. In questo modo il viaggio Terra-Marte potrebbe essere compiuto in circa 100 giorni. Arrivata in orbita di parcheggio attorno al pianeta, la nave pilotata dovrà effettuare un rendez-vous con il razzo arrivato qualche mese prima.

L’equipaggio potrà trasferirsi in un secondo lander, progettato per ospitare gli astronauti, durante l’ultimo, breve viaggio, dall’orbita alla superficie del pianeta. A bordo di questo veicolo – che è dotato di tradizionali motori a combustibile chimico – gli astronauti saranno in grado di effettuare il viaggio inverso, dalla superficie all’orbita di parcheggio, dove si ricongiungeranno con la nave da crociera, rimasta in orbita attorno a Marte.

Il viaggio di ritorno verso la Terra, avrà una durata analoga a quello di andata con l’attracco finale alla Stazione spaziale porto di sbarco per i primi esploratori di Marte. Considerando il periodo di circa 1-2 mesi passato sulla superficie marziana, il viaggio complessivo potrebbe durare tra gli otto e i nove mesi: in assoluto la missione più breve fra tutti i vari progetti di esplorazione umana del Pianeta Rosso.

Destinazione Marte, una sfida tecnologica

Senza dubbio la riduzione drastica della durata del viaggio di trasferimento è la caratteristica più interessante del nuovo motore a plasma. Un motore che, grazie all’estrema efficienza d’uso del combustibile, può restare acceso per l’intera durata del volo. Ma c’è un vantaggio ancora più importante che deriva dalla particolare tecnologia che impiega un campo magnetico per confinare il plasma. Proprio il campo magnetico rappresenta, infatti, il mezzo più efficace per bloccare una buona parte delle radiazioni letali prodotte dal cosidetto vento solare – un flusso di particelle che sfuggono all’attrazione gravitazionale del Sole e si propagano a grande velocità nello spazio interplanetario.

D’altro canto l’approccio più tradizionale di Mars Direct ha delle qualità non trascurabili. In primo luogo si basa su una tecnologia ben conosciuta e affidabile che riduce i rischi connessi allo sviluppo di nuove tecnologie. Inoltre, la missione non richiede un assemblaggio in orbita terrestre né, tantomeno, un rendez-vous in orbita attorno a Marte, prima della discesa sulla superficie del pianeta.

Un’altra importante qualità è rappresentata dalla elevata standardizzazione degli elementi principali di questa missione. Per ridurre i costi di sviluppo e per semplificare le operazioni in volo, è previsto l’uso del medesimo lanciatore, sia per le navi cargo che per la nave dell’equipaggio. Analogamente, “l’habitat” – usato per il viaggio di trasferimento Terra-Marte-Terra – è anche utilizzato per la permanenza sulla superficie marziana. In questo caso, non solo si ha un notevole risparmio per la progettazione e la realizzazione ma anche un positivo effetto psicologico per l’equipaggio.

Infine, una base marziana, in grado di utilizzare materiali indigeni per il proprio funzionamento, riduce i rischi della spedizione e rende possibile la pianificazione di una seria attività scientifica con tempi di permanenza di gran lunga maggiore e con i mezzi per potersi muovere agevolmente sulla superficie.

Come si vede, ci sono diverse scenari possibili per portare degli astronauti a esplorare la superficie di Marte e a ritornare sani e salvi sulla Terra. Si tratta di una sfida tecnologica di gran lunga più difficile di quella affrontata per le imprese lunari, dove gli astronauti potevano sempre contare sulla vicinanza del pianeta natale, per risolvere situazioni di emergenza come quella dell’Apollo 13. Per un viaggio verso Marte, una volta abbandonata l’orbita terrestre, l’equipaggio deve essere pronto a condurre a termine la missione senza ulteriori aiuti dalla base: le risorse disponibili sono a bordo del veicolo su cui stanno viaggiando o sulla superficie di Marte.

Un obiettivo che può sembrare ancora lontano. Ma, forse, i successi del Pathfinder potrebbero accelerare le ricerche in questo campo. E la Nasa e le altre Agenzie Spaziali potrebbero decidere di accettare questa sfida prima di quanto si pensi.

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