Hanno trovato la materia oscura

Per quasi 70 anni era sfuggita ai fisici e agli astronomi che l’avevano cercata scrutando ogni angolo del cielo con i loro telescopi. Ora, finalmente, un gruppo di loro potrebbe averla vista. La materia oscura, la misteriosa massa che dovrebbe costituire circa i nove decimi dell’universo, la cui presenza è prevista dalle teorie, ma non è mai stata osservata direttamente, potrebbe essersi mostrata a Ben Oppenheimer della University of California-Berkeley e ai suoi colleghi delle università di Edimburgo, Cambridge e della Vanderbilt University di Nashville. Passando al setaccio le immagini del cielo australe raccolte al Cerro Tololo Interamerican Observatory in Cile, i ricercatori hanno intravisto una popolazione di 38 stelle nane bianche talmente fievoli da essere passate inosservate a tutte le precedenti analisi. Giacciono nelle profondità siderali del cosiddetto alone galattico che circonda la nostra galassia a circa 450 anni luce dalla Terra. E se la densità di questi oggetti nell’intero alone è la stessa dello spicchio di cielo osservato, allora queste nane bianche potrebbero costituire tra dal 3 al 35 per cento della materia oscura.

Che i conti non tornassero i ricercatori lo sapevano dal 1933, quando Fritz Zwicky osservò che le galassie non contengono abbastanza materia visibile per spiegare la loro rotazione. Oggi gli astronomi stimano che all’appello manchi ben il 95 per cento della massa, troppo oscura per essere vista. Poco più di un terzo di questa massa oscura dovrebbe essere costituita da materia barionica, cioè da materia normale di cui sono fatte le stelle, i pianeti e l’uomo, concentrata in oggetti compatti e pesanti detti Macho (Massive Compact Halo Objects). La natura dei restanti due terzi è ancora più misteriosa: potrebbe essere fatta di neutrini pesanti (detti neutralini) o da altre particelle esotiche come i fotini o gli assioni. Tutti questi candidati sono stati chiamati Wimp (Weakly Interacting Massive Particles). In ogni caso, finora nessuno aveva mai osservato né Macho né Wimp.

Nel 1995 il gruppo di Charles Alcock (ora professore di fisica e astronomia all’Università della Pennsylvania) ottenne una prova indiretta dei Macho nell’alone galattico osservando l’effetto della loro presenza sull’immagine di alcune stelle visibili. “Questi risultati indiretti indicavano che le nane bianche potevano costituire una frazione cospicua della materia oscura, ma potevano anche essere interpretati in modo diverso”, ha dichiarato Oppenheimer, “i nostri colleghi sapevano che nell’alone dovevano esserci oggetti compatti, ne potevano stimare la massa, ma non li avevano mai visti direttamente”. Oggi, nell’articolo pubblicato su Science, Oppenheimer scrive che la nuova popolazione di nane bianche fornisce una spiegazione naturale all’effetto notato da Alcock e potrebbe quindi costituire la prima osservazione diretta dei Macho.

Le nane bianche sono stelle molto antiche che hanno praticamente esaurito il combustibile che ne sostiene le reazioni nucleari e sono quindi collassate in oggetti assai densi, grandi circa quanto la Terra e con massa più o meno la metà di quella del Sole. Finire come una nana bianca è il destino del 94 per cento delle stelle visibili. Fino ad appena tre anni fa i ricercatori ritenevano che invecchiando e raffreddandosi sempre più questi oggetti emettessero luce tendente verso il rosso. Poi arrivarono Brad Hansen, della Princeton University, e Didier Saumon, della Vanderbilt University. Altro che rosse: quando una nana bianca si raffredda al di sotto di 4800 °C emette radiazioni tendenti al blu. In altre parole, molte di queste stelle quasi invisibili potevano essere sfuggite all’osservazione perché i ricercatori ne cercavano le tracce sbagliate.

Così Oppenheimer e colleghi hanno rispolverato quasi 200 fotografie del cielo raccolte negli ultimi 30 anni selezionando 92 oggetti candidati, raccogliendone poi lo spettro con il telescopio di Cerro Tololo. Di questi, 38 si sono poi rivelate effettivamente nane bianche antichissime, fossili della galassia primordiale, testimoni dell’universo tra 10 e 13 miliardi di anni fa. E potrebbero rappresentare la punta dell’iceberg della materia oscura. Ma non solo. I risultati di Oppenheimer aprono nuove prospettive anche nello studio dell’evoluzione galattica. “Queste nane bianche possono insegnarci molto su come si formano le galassie e le stelle”, ha commentato Didier Saumon, membro del team di ricerca. In ogni caso il gruppo di ricercatori proseguirà la propria caccia alla materia oscura, puntando questa volta gli strumenti sulle nane bianche del polo nord galattico.

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