I barioni ritrovati

Pianeti, stelle, galassie. E noi stessi. Tutto quello che conosciamo è costituito da atomi. O, per meglio dire, di barioni, particelle elementari subatomiche. Eppure i modelli cosmologici attuali prevedono che la materia barionica ammonti a meno del cinque per cento del totale. Il resto, avvolto ancora in un fitto mistero cosmico, va sotto il nome di materia ed energia oscura. Dalle pagine di Nature arriva però ora la notizia del ritrovamento dei barioni mancanti su una vasta area di universo intorno alla nostra galassia. Artefice della scoperta è un team di ricercatori italiani e statunitensi guidati da Fabrizio Nicastro, astrofisico palermitano che da alcuni anni vive e lavora negli Usa, presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, nel Massachusetts. La ricerca è stata condotta dall’istituto di Harvard in compartecipazione con l’Astronomy Department dell’Ohio State University, a Columbus, e con l’Osservatorio Astronomico di Monteporzio, a Roma. “Le osservazioni astronomiche riguardanti la quantità di barioni presente nell’universo durante i suoi primi due o tre miliardi di anni di vita sono in buon accordo con la teoria della nucleosintesi del Big Bang”, spiega Nicastro. “Ma poi, per i successivi dieci miliardi di anni di vita dell’universo fino a oggi, sommando tutta la materia barionica che vediamo in stelle, galassie, ammassi e filamenti residui nello spazio intergalattico, riusciamo – o dovrei dire riuscivamo – a tener conto al più di un terzo della materia prevista”. Dunque, a partire da una certa fase della storia evolutiva dell’universo, una percentuale consistente della “nostra” materia è sembrata svanire nel nulla. O forse, in un qualche senso, si stava solo nascondendo tra le profondità del cosmo? Di fatto, diverse simulazioni al computer relative alla formazione delle galassie sostenevano da tempo l’ipotesi secondo cui i barioni smarriti sarebbero stati molto difficili da osservare, essendo probabilmente assai caldi e rarefatti. Per superare questo ostacolo, Nicastro e colleghi hanno sguinzagliato i satelliti Far Ultraviolet Spectroscopic Explorer (Fuse) e Chandra, dotati di spettrometri ad altissima risoluzione per onde ultraviolette e raggi X. Solo con tali radiazioni, e non con la luce, si poteva sperare di scorgere qualcosa.”Abbiamo trovato”, dice Nicastro, “che il cosiddetto Gruppo Locale di galassie, il quale ha un’estensione di circa 6,5 milioni di anni luce – 600 milioni di volte le dimensioni del nostro sistema solare – e che comprende la Via Lattea, Andromeda e una trentina di galassie più piccole, è effettivamente “immerso” in un “bagno caldo” di barioni, a una temperatura di circa un milione di gradi centigradi, ed estremamente tenue: circa una particella per ogni metro cubo”. Una concentrazione davvero modesta, se confrontata con i 100 milioni di miliardi di particelle per metro cubo che popolano la base dell’atmosfera terrestre. Sta di fatto che la massa dei barioni rilevati è dell’ordine di circa 100 miliardi di volte la massa del Sole, equivalente in sostanza alla somma delle masse di tutti i componenti otticamente visibili del Gruppo Locale. Si tratta, a quanto pare, di materia primordiale – soprattutto idrogeno – che occupa lo spazio intergalattico ed è assemblata in strutture filamentari che connettono le galassie e gli ammassi di galassie. “Questa massa”, puntualizza Nicastro, “è sufficiente a stabilizzare dinamicamente il Gruppo Locale, che sarebbe altrimenti instabile. D’altra parte, il Gruppo è stabile proprio perché esiste, ma se prendiamo la massa totale delle galassie – i soli costituenti barionici che riuscivamo a vedere finora – e ne osserviamo i moti e il modo in cui esse interagiscono, ci rendiamo conto che più del doppio della massa che vediamo è necessaria per renderlo stabile. Di conseguenza, un’ulteriore massa barionica doveva per forza esistere da qualche parte”.L’individuazione dei barioni dispersi rappresenta in realtà solo una prima tappa di un tragitto scientifico ancora lungo. “Quale sia lo stato fisico preciso, la quantità totale e la distribuzione spaziale di questi barioni è ancora troppo presto per dirlo”, specifica Nicastro. “Molte altre misure saranno necessarie per poter affermare qualcosa di definitivo. Di certo, i dati che abbiamo raccolto confermano l’esistenza di questa materia e aprono la strada al suo studio accurato”. Un campo di ricerca che potrebbe aprire scenari cosmologici sorprendenti. “Capire dove e sotto quale forma si trovano i barioni mancanti”, sottolinea Nicastro, “è fondamentale per le nostre ricerche sulla maggior parte della materia dell’universo, poiché la presenza di queste particelle segnala la presenza di grosse concentrazioni di materia oscura”. “Le simulazioni per la formazione delle strutture nell’universo”, prosegue l’astrofisico siciliano, “indicano infatti che gli aloni di materia oscura intorno alle strutture barioniche visibili attraggono a sé il materiale barionico presente nei filamenti intergalattici”. Non solo: “I nostri risultati”, aggiunge Nicastro, “sembrano suggerire anche che gran parte della materia oscura potrebbe in realtà essere di origine barionica”.

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