I fatti oltre le opinioni

La tossicodipendenza, come è noto, è un fenomeno di grande complessità, le cui caratteristiche dipendono da molteplici dimensioni, la tipologia di sostanza usata, le modalità e la frequenza dell’uso e non ultimo il contesto sociale e culturale in cui si inquadra il consumo o il comportamento. La tossicodipendenza è una sottospecie di un fenomeno ancora più complesso che è quello della dipendenza, che entro centri limiti è insita nella natura umana, ma può diventare problematica o addirittura patologica. È di questa dimensione della dipendenza da sostanze che il mondo clinico, sanitario, è chiamato a occuparsi; i “medici” sono chiamati a intervenire quando un comportamento sta determinando o può determinare dei danni alla salute. Che il consumo di eroina sia associato a forti danni sulla salute è noto; sappiamo bene che un giovane consumatore di eroina ha un rischio di morire che è più di dieci volte superiore a quello di un suo coetaneo non consumatore di eroina [1]. D’altronde sappiamo anche che un fumatore di tabacco ha un rischio dieci volte superiore di morire di tumore del polmone rispetto a un non fumatore, come sappiamo anche che un obeso ha un rischio alto di morire precocemente per infarto del miocardio o che un iperteso, pur in assenza di sintomi, ha di per sé un rischio più alto di morire precocemente. Nessuno si sentirebbe di mettere in discussione la necessità di trattare “cronicamente” una persona ipertesa, asmatica o diabetica per ridurre i potenziali danni sulla salute. In letteratura è stato ampiamente dimostrato come la dipendenza da oppiacei possa essere considerata una malattia cronica recidivante [2]. È evidente quindi quanto sia necessario che il sistema sanitario si faccia carico del problema di salute legato al consumo di eroina, così come si deve fare carico di altri problemi di salute, al di là di giudizi morali o etici sul comportamento.

Abbiamo quindi chiarito che l’ambito della tossicodipendenza che “compete” al clinico è la “patologia tossicodipendenza”, è quella condizione cronica recidivante caratterizzata da una durata lunga di malattia con remissioni e ricadute, così come si caratterizzano il diabete o l’asma. Citando una frase da un recente articolo di Alessandro Tagliamonte, «fare una predica a un eroinomane o a un tabagista in recidiva equivale a sgridare un asmatico perché “anche quest’anno, a primavera, ti sei ripreso l’asma» (1). Ci avviciniamo quindi al focus del problema, qual è l’obiettivo del trattamento di una patologia cronica recidivante? Su quali obiettivi misuriamo l’efficacia di un trattamento della tossicodipendenza da eroina? Come può aiutarci la scienza a valutare quanto un trattamento sia efficace? Quali sono le conoscenze scientifiche a cui possiamo attingere? Quali risposte ci possono dare e quante domande rimangono senza risposta? Il clinico, nella sua relazione quotidiana con i propri pazienti, è chiamato ripetutamente a fare scelte terapeutiche con l’obiettivo finale di offrire il miglior trattamento possibile per quel paziente. La scelta di quale trattamento offrire dovrebbe essere la sintesi ragionata di diversi elementi, la propria esperienza clinica, le conoscenze scientifiche sull’efficacia dei diversi trattamenti, le caratteristiche del paziente e le sue preferenze, il contesto sanitario, sociale e culturale in cui si trova. La cosiddetta “medicina basata sulle prove” (Evidence Based Medicine-EBM) non equivale a sancire il primato delle evidenze scientifiche sulla esperienza clinica, come qualcuno ha purtroppo erroneamente interpretato, ma, nella sua visione più laica e ragionevole, può essere intesa come «l’uso coscienzioso, esplicito, e giudizioso delle migliore evidenze, ricavate dalla ricerca clinicamente rilevante» [3].

Ciò che ha condotto all’inizio degli anni Novanta allo sviluppo della cosiddetta medicina basata sulle prove è stata l’osservazione della estrema e non motivata variabilità dell’offerta terapeutica, del ritardo nell’offerta di trattamenti efficaci e dalla mancanza di appropriatezza di molte pratiche cliniche.

E’ paradigmatico l’esempio del ritardo nell’uso routinario della trombolisi per ridurre la mortalità per infarto del miocardio [4]; a fronte di prove di efficacia disponibili già a partire dagli anni Ottanta, la trombolisi come trattamento di prima linea dell’infarto del miocardio è descritto nei libri di testo ben dieci anni dopo, con evidenti conseguenze sulla salute della popolazione. Che non sia il criterio di efficacia a guidare la scelta terapeutica, lo dicono anche le osservazioni che possiamo fare nel campo delle tossicodipendenze.

A fronte di una relativa omogeneità della popolazione seguita dai servizi per le tossicodipendenze in Italia (la prevalenza di eroinomani tra le persone che si sono rivolte ai servizi nel 2004 varia dal 65 per cento in Lombardia al 90 per cento nella Provincia Autonoma di Trento), osserviamo una estrema variabilità nella tipologia di trattamento offerto; i trattamenti sostitutivi con metadone vengono offerti a meno del 30% dei pazienti in Molise e a quasi il 70 per cento in Sardegna (2) (Fig. 1). Anche l’offerta della buprenorfina è estremamente variabile tra regioni. Se una parte di eterogeneità è fisiologica e risponde alla variabilità clinica della patologia stessa, tali estremi livelli di eterogeneità rappresentano invece un importante segnale di inadeguatezza del trattamento e richiedono un intervento di promozione dell’efficacia attraverso lo sviluppo e l’implementazione di linee guida basate sulle prove. A questo proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già avviato un processo che entro la fine del 2007 dovrà portare allo sviluppo di Linee guida internazionali sul trattamento della dipendenza da oppiacei. Le linee guida, sebbene basate su una comune base scientifica internazionale, hanno bisogno necessariamente, affinché le conoscenze si traducano in un cambiamento nella pratica clinica, di essere contestualizzate e condivise dalla comunità locale (clinici, pazienti, decisori e opinione pubblica). Ma quali conoscenze abbiamo oggi a disposizione, dove le possiamo trovare e cosa ci dicono?

Negli anni Novanta, parallelamente allo sviluppo della medicina basata sulle evidenze, si comprese presto quanto fosse necessario fornire ai clinici strumenti di facile accesso e lettura che sintetizzassero le migliori conoscenze disponibili sull’efficacia dei trattamenti. Nacque così nel 1992 la Collaborazione Cochrane (http://www.cochrane.org/) con l’obiettivo di preparare, disseminare e mantenere aggiornati i risultati di revisioni sistematiche sull’efficacia dell’assistenza sanitaria. La revisione sistematica della letteratura è infatti il frutto di un processo complesso e metodologicamente rigoroso attraverso il quale si analizzano i risultati dei diversi studi clinici e si cerca di stabilire se ci sono prove sufficienti relativamente ai benefici o ai rischi di un determinato intervento o se è invece necessario condurre altri studi. La revisione sistematica della letteratura è quindi uno strumento che da una parte può orientare la pratica clinica e dall’altra dovrebbe informare l’agenda di ricerca. A oggi, l’utilizzo e l’efficacia delle revisioni sistematiche della letteratura scientifica in questi ambiti è estremamente variabile: fortemente consolidata nel Regno Unito e in Australia, dove lo strumento delle linee guida basate sulle prove è utilizzato nella comune pratica clinica e dove ogni proposta di ricerca, per essere considerata, deve aver dimostrato, attraverso una revisione della letteratura, che quella nuova ricerca può effettivamente contribuire a un progresso delle conoscenze e non è, come spesso accade, fine a se stessa o meglio ai ricercatori che la propongono. Negli Stati Uniti questo approccio incontra diverse resistenze, in altri paesi, tra cui l’Italia, è pressoché ignorato, fatta eccezione per alcune avanzate esperienze locali.

Nel 1998 alcuni ricercatori di fama internazionale raccolsero la sfida di costituire un gruppo di revisione Cochrane specifico nel campo della tossicodipendenza e dell’alcolismo [5]. Il gruppo ha la sua base editoriale a Roma, presso il Dipartimento di Epidemiologia della ASL Rm E ed è composto da editori, revisori e referee provenienti da tutte le parti del mondo. Utilizzando una metodologia rigorosa, trasparente e riproducibile [6], i revisori del gruppo identificano potenziali argomenti sui quali effettuare una ricerca della letteratura e una sintesi dei risultati e preparano un protocollo di revisione; tutti i protocolli e le revisioni, prima di essere pubblicati sono sottoposti a un processo di referaggio esterno. Da allora e fino al febbraio 2007 il gruppo ha pubblicato 37 revisioni, 16 protocolli e ha registrato 15 titoli di nuove revisioni. La maggior parte delle revisioni (16) sono relative alla dipendenza da oppiacei, ma ce ne sono anche numerose (5 revisioni e 6 protocolli) per l’alcolismo e per la dipendenza da cocaina (4 revisioni e 2 protocolli). Grazie a un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità – Osservatorio Fumo Droga e Alcool, è possibile accedere alla sintesi, in lingua italiana dei risultati di tutte le revisioni pubblicate dal gruppo e alla relativa metodologia utilizzata (http://www.iss.ossfad.it/).

Le revisioni sistematiche rappresentano la base conoscitiva di partenza per lo sviluppo di linee guida; i metodi più avanzati per lo sviluppo di raccomandazioni cliniche basate sulle prove [7] prevedono: la costituzione di un gruppo multidisciplinare con rappresentanti delle diverse specialità cliniche interessate al trattamento, rappresentanti dei pazienti e dei decisori; la definizione a priori degli obiettivi di un trattamento, attraverso una valutazione condivisa tra i vari componenti del gruppo multidisciplinare; una revisione critica della qualità delle prove scientifiche disponibili relativamente a ciascun trattamento e al relativo obiettivo; un bilancio dei benefici e dei rischi di ciascun intervento; la formulazione di una raccomandazione per l’uso di un intervento piuttosto che un altro, la cui forza dipende non solo dalla qualità delle prove disponibili, ma anche del contesto in cui viene formulata; essa esprime il grado di certezza che l’aderenza ad una determinata raccomandazione comporti un beneficio superiore ai possibili danni; l’implementazione della linea guida e la valutazione dell’impatto.

L’esperienza in corso presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci permette di valutare quanto le conoscenze scientifiche oggi disponibili ci consentano di orientare la pratica clinica per il trattamento della dipendenza da oppiacei e quanto ancora debba essere invece basato sull’opinione degli esperti e non trovi un soddisfacente substrato scientifico. Esistono oggi forti prove su quale sia il trattamento farmacologico più efficace per ottenere la migliore ritenzione in trattamento e diminuire l’uso di eroina. Ci sono prove di buone qualità che dimostrano che il metadone a dosi adeguate (50-100mg) sia il trattamento più efficace [8, 9, 10, 11]. L’aggiunta di un trattamento psicosociale non sembra invece migliorare sensibilmente l’efficacia del solo trattamento farmacologico [12]. Sebbene sia risaputo che il trattamento debba essere di lunga durata, non esistono forti provi su quale sia la durata ottimale, così come non esistono prove su quale sia il modo migliore per gestire il paziente prima e durante il trattamento (come debba essere effettuata l’induzione del trattamento, il follow-up, ecc…). Una delle obiezioni che spesso viene fatta all’utilizzo delle conoscenze scientifiche derivate per lo più da letteratura internazionale e assai raramente da studi condotti in Italia, è relativa, giustamente, alla generalizzabilità di quei risultati. Proprio per questo motivo è necessario che, anche laddove esistano evidenze di efficacia da letteratura scientifica, vengano comunque condotti studi osservazionali che permettono di valutare l’efficacia degli interventi nella pratica clinica di contesti specifici.

In Italia, nel periodo 1999-2001 è stato condotto uno dei più grossi studi longitudinali di valutazione dell’efficacia dei trattamenti per la dipendenza da eroina (http://www.vedette.it/); è stata seguita nel tempo una coorte di circa 12.000 tossicodipendenti da eroina arruolati presso 115 SerT d’Italia [13]. Durante il periodo in studio si sono verificati 41 decessi per overdose, 10 in trattamento e 31 fuori trattamento, corrispondenti a un tasso di mortalità per overdose di 0,1 per cento in trattamento rispetto a 1,1 per cento fuori trattamento. La ritenzione in trattamento, indipendentemente dal tipo di trattamento e dalla gravità della dipendenza, è risultata essere estremamente protettiva con un rischio di morire per overdose dieci volte più basso per coloro che rimanevano in trattamento rispetto a coloro che ne uscivano (vedi tabella). In particolare, il mese immediatamente successivo all’uscita dal trattamento è risultato essere a rischio particolarmente alto di morte per overdose, 27 volte più alto rispetto alle persone in trattamento. Questo dato implica che trattamenti di durata inferiore a un mese possano essere non solo inefficaci, in quanto comunque associati a un alto tasso di ricaduta, come già dimostrato da alcune revisioni internazionali, ma addirittura dannosi. Sempre all’interno dello stesso studio è stata condotta un’analisi dei determinanti dell’uscita dal trattamento e lo studio ha confermato che all’aumentare del dosaggio di metadone diminuisce il rischio di abbandonare il trattamento e ha dimostrato che anche l’aggiunta di un supporto psicosociale al trattamento con metadone diminuisce la probabilità di abbandonare il trattamento.

Quale la pratica dei servizi a fronte di queste evidenze? Il mantenimento con metadone viene offerto in Italia al 30 per cento dei tossicodipendenti in trattamento e il dosaggio medio è di 40 mg, ben al di sotto dei livelli considerati efficaci dalla letteratura non solo internazionale ma anche nazionale. A New York, la quota di trattamenti metadonici offerti a dosaggi inadeguati è passata dall’80 per cento del 1988 al 20 per cento nel 2000 [14]; in Italia, nel 2000, la quota di trattamenti inadeguati era dell’80 per cento [15].  

In conclusione, sono disponibili ad oggi conoscenze scientifiche che rispondono ad importanti quesiti di efficacia, il trasferimento delle conoscenze nella pratica clinica resta un punto critico. Queste conoscenze devono essere accessibili ai clinici, ai pazienti e ai decisori in maniera appetibile e comprensibile ed è necessario formulare linee guida nazionali basate sulle prove, ma è anche necessario comprendere le difficoltà e gli ostacoli che nel tempo hanno impedito l’implementazione di strategie efficaci, al fine di poter integrare queste conoscenze con tutte le altre componenti della scelta terapeutica. Per quanto riguarda le aree di incertezza, è opportuno espandere il modello della conoscenza scientifica agli altri ambiti del fenomeno tossicodipendenze, ricordando però che la produzione delle conoscenze scientifiche da sola non si traduce automaticamente in miglioramento di salute, ma è un passo imprescindibile.

È auspicabile che le strutture tecniche e scientifiche che producono queste conoscenze possano lavorare con continuità, sottoponendo i loro prodotti al vaglio della comunità scientifica, ma in modo insensibile ai cambiamenti politici, ricordando che queste conoscenze costituiscono una sola delle componenti sia di una scelta terapeutica che di scelte di politica sanitaria, ma non possono essere ignorate.

E’ evidente che qui abbiamo affrontato solo un pezzetto del grande fenomeno della tossicodipendenza, un pezzetto che però continua ad essere estremamente pesante in termini di salute non solo dei tossicodipendenti stessi ma di tutta la popolazione.

RINGRAZIAMENTI
Gran parte delle informazioni contenute in questo articolo sono tratte dai risultati del lavoro del gruppo dello studio VEdeTTE (www.vedette.it) e del gruppo di revisione Cochrane Droga e Alcool (www.cochrane.org) a cui vanno i miei ringraziamenti.

NOTE

(1) TAGLIAMONTE A., «La forza del pregiudizio», Sapere, dicembre 2002; e anche: www.galileonet.it/Dossier/dossier/4505/la-forza-delpregiudizio.

(2) Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2005.

BIBLIOGRAFIA

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[2] MCLELLAN A.T., LEWIS D.C., O’BRIEN C.P., KLEBER H.D., «Drug dependence, a chronic medical illness: implications for treatment, insurance, and outcomes evaluation», JAMA, 284 (13), pp. 1689- 1695, 2000.

[3] SACKETT D.L. et al., «Evidence-based medicine: what it is and what it isn’t», BMJ, 312, pp. 71-72, 1996.

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[5] DAVOLI M., FERRI M., «The Cochrane Review Group on Drugs and Alcohol», Addiction, 95 (10), pp. 1473-1474, 2000.

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[9] MATTICK R.P., KIMBER J., BREEN C., DAVOLIM., «Buprenorphine maintenance versus placebo or methadone maintenance for opioid dependence (Cochrane Review)», The Cochrane Library, 4, 2005.

[10] FAGGIANO F., VIGNA-TAGLIANTI F., VERSINO E., LEMMA P., «Methadone maintenance at different dosages for opioid dependence», Cochrane Database Syst Rev., 3, 2003.

[11] AMATO L., DAVOLI M., PERUCCI C., FERRI M., FAGGIANO F., MATTICK R., «An overview of systematic reviews of the effectiveness of opiate maintenance therapies: available evidence to inform clinical practice and research», Journal of Substance Abuse Treatment, vol. 28, 4, pp. 321-329, 2005.

[12] AMATO L., DAVOLI M., MINOZZI S., VECCHI S., PERUCCI C.A., «Should psychosocial intervention be added to pharmacological treatment for opiate abuse/dependence? An overview of systematic reviews of the literature», Italian Journal of Public Health, vol. 3 (2), 2006.

[13] BARGAGLI A.M. et al for the VEdeTTE study group, «VEdeTTE, a longitudinal study on effectiveness of treatments for heroin addiction in Italy: study protocol and characteristics of study population», Subst. Use Misuse. 41 (14), pp. 1861-1879, 2006.

[14] D’AUNNO T., POLLACK H.A, «Changes in methadone treatment practices: results from a national panel study, 1988-2000», JAMA, 21, 288 (7), pp. 850-856, Aug. 2002.

[15] SCHIFANO P., BARGAGLI A.M., BELLEUDI V., AMATO L., DAVOLI M., DIECIDUE R., VERSINO E., VIGNA-TAGLIANTI F., FAGGIANO F., PERUCCI C.A., «Methadone treatment in clinical practice in Italy: need for improvement», Eur. Addict Res., 12 (3), pp. 121-127, 2006.

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